martedì 24 marzo 2020
«Noi vogliamo prima di tutto tutelare la salute delle persone, dove non è possibile garantire la sicurezza è giusto chiudere. Però chiediamo chiarezza e buon senso»
Marcella Panucci

Marcella Panucci - .

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«In questo momento c’è bisogno di grande coesione tra governo, imprese, sindacati, lavoratori. Ognuno deve fare la sua parte con grandi sacrifici. Noi vogliamo prima di tutto tutelare la salute delle persone, evitare altri morti e superare questa emergenza, mettendo le nostre imprese a disposizione del Paese perché non manchi nulla di quello di cui c’è bisogno». Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria cerca di stemperare la tensione di queste ore dopo la nuova stretta del governo sulle attività economiche, che i sindacati considerano insufficiente. Il Dpcm, spiega in questa intervista, tracciando una separazione tra attività essenziali e non, fa «un esercizio difficile» che mostra punti deboli e «andrà applicato con la necessaria flessibilità ». Ma prima di tutto l’associazione degli industriali vuole evitare di apparire come interessata alle questioni economiche prima che a quelle della salute pubblica. «Dove non è possibile garantire la sicurezza dei lavoratori, gli stabilimenti vanno chiusi, su questo siamo rigidissimi», sottolinea Panucci.

Come giudica l’ultimo Dpcm?
È difficile tracciare in maniera esaustiva le attività da tenere aperte. È stata fatta una selezione ma è un elenco carente sotto certi profili. Perché anche solo portare cibo sulle tavole degli italiani e farmaci agli ospedali è un processo molto articolato che si compone di tanti tasselli svolti da imprese diverse che operano in settori altrettanto diversi. Ad esempio, nella componentistica auto si fanno valvole adattabili al settore biomedicale, ai respiratori. Che facciamo? Li lasciamo aperti o li chiudiamo? Serve un minimo di flessibilità nell’applicazione.

Quindi non è tanto un problema di ricaduta economica?

La ricaduta economica ci sarà comunque, sarà pesantissima su tutti i settori e, purtroppo, sappiamo che chi chiude non è detto che riesca a riaprire. Il governo sostiene che questo decreto comporterà la chiusura del 70% delle imprese italiane che, come ha detto il presidente Boccia, equivalgono a 100 miliardi di euro al mese. Un problema di gettito fiscale ma anche e soprattutto in termini di garanzia dei posti di lavoro.

k, ma non possiamo permetterci uno stop di due settimane? Anche a Ferragosto il Paese è mezzo chiuso…
Non è come chiudere con un preavviso di due giorni. E a Ferragosto non chiude tutto. Fermare il sistema produttivo non è come abbassare la saracinesca del garage. Noi siamo pronti a fare la nostra parte ma se le imprese non producono nulla il tema non saranno i supermercati aperti ma gli scaffali vuoti e i farmaci che mancano. Non siamo la Cina dove hanno chiuso una provincia mentre il resto del Paese la riforniva. Se chiudiamo l’Italia non ci rifornisce nessuno.

La sicurezza di chi resta al lavoro nelle fabbriche è garantita?

Abbiamo condiviso con i sindacati misure molto stringenti per tutelare sicurezza e salute. Vanno rispettate senza se e senza ma, e chi non riesce a farlo deve chiudere. Ma dobbiamo tutti attivarci perché alle imprese arrivino le dotazioni necessarie, come le mascherine quando non è possibile garantire la distanza di sicurezza.

I lavoratori sono preoccupati e i sindacati hanno proclamato diversi scioperi. Si rischia una frattura tra i garantiti dello smart working e gli altri?
Siamo i primi a comprendere queste preoccupazioni e vogliamo che i lavoratori operino in sicurezza. Ma nei settori essenziali quali alternative ci sono? Mi auguro che tutti recuperino buon senso ed equilibro perché bisogna evitare che la gente non venga curata per mancanza di farmaci, che abbia da mangiare, che abbia l’energia e possa comunicare. Sono queste le esigenze primarie.

Dopo il decreto da 25 miliardi cosa dovrebbe fare il governo?
Sono state messe in campo le primissime misure ma non sono sufficienti ad affrontare l’emergenza. Dobbiamo evitare che si inneschi una spirale perversa che porti a una crisi economica irreversibile. Lo Stato deve garantire la liquidità necessaria alle imprese. Servono molte risorse, anche dall’Europa attraverso gli eurobond.

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