mercoledì 19 agosto 2020
Migliaia i posti di lavoro persi, il racconto del dramma nei settori dell’assistenza domestica e della logistica I progetti di diocesi e Comune per dare risposte subito
Volontari all'Emporio solidale di Piacenza

Volontari all'Emporio solidale di Piacenza - Collaboratori Piacenza

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Anna è una mamma single che se l’è sempre cavata con le sue forze. Lavora in un bar, per arrotondare fa le pulizie da un’insegnante in pensione. Con i salti mortali, paga affitto, bollette e quanto serve per crescere la bambina. Ma con il Covid-19 la sua vita già in salita si trasforma in una ferrata.

Piacenza, per la contiguità con il focolaio lodigiano – solo quindici chilometri e il fiume Po la dividono da Codogno – è osservata speciale. Il 25 febbraio i bar, per ordinanza del sindaco, abbassano le serrande alle 18. Con il lockdown la chiusura è totale e Anna non può più nemmeno andare a casa della signora. «Sono molto preoccupata, ormai mangia solo fagioli»: è la professoressa ad allertare l’assessore ai Servizi sociali, Federica Sgorbati.

Ma quella di Anna non è una storia isolata. «Ci sono tante famiglie che la pandemia ha messo in difficoltà e che per vergogna non chiedono aiuto – rimarca l’amministratrice –. Sotto la porta del mio ufficio ho trovato due lettere, scritte in un italiano impeccabile: assessore, la raggiungo così perché non ho il coraggio di guardarla in faccia...».

L’occupazione in fumo
Pensare che Piacenza nel 2019 vantava uno dei tassi di occupazione più alti d’Italia, il 69,9%, con un incremento dello 0,8% dovuto proprio al lavoro femminile. Ora nel territorio col maggior numero di decessi per Covid-19 in rapporto alla popolazione a preoccupare è la mortalità di imprese e soprattutto la mancata nascita di nuove attività, -65% nel bimestre marzo-aprile rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ovvero – calcolano gli esperti di Provincia, Università Cattolica e Camera di Commercio – 200 potenziali opportunità di occupazione perse. A questi numeri si intrecciano la previsione di uno studio regionale di 2.825 posti di lavoro “bruciati” da marzo a maggio e i dati Inps sulle ore di cassa integrazione autorizzate, oltre 7 milioni tra aprile e maggio, quando nel 2010 erano state 8 milioni, ma spalmate sui dodici mesi.

L’emergenza alimentare
«La vera sfida dell’autunno si giocherà su casa e lavoro». Il diacono Mario Idda, direttore della Caritas diocesana, è appena stato eletto presidente dell’associazione che gestisce l’Emporio Solidale aperto nel luglio 2019 in città. I piacentini spesso accusati di non saper fare sistema stavolta hanno dato prova di voler agire in modo sinergico – tra i soci fondatori dell’Emporio ci sono Comune, Caritas, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Croce Rossa, Auser – per intercettare quella “fascia grigia” che, per la perdita del lavoro, una malattia o altri eventi imprevisti rischia di scivolare oltre la soglia di povertà. «Prima della pandemia vi accedevano poco più di cento famiglie, vale a dire circa 400 persone tra adulti e minori. Adesso siamo a 140 famiglie e stimiamo entro l’autunno di arrivare a 200», anticipa Idda.

L’emergenza alimentare – «c’è ma non ci spaventa, grazie alla generosità di tanti donatori» - è la punta dell’iceberg. «Stiamo riattivando gli sportelli di accompagnamento, a partire da quello dedicato alla ricerca del lavoro. L’obiettivo è che gli utenti, nel giro di un anno, recuperino la loro autonomia». Perché tra chi bussa alla porta dell’Emporio – il 64% sono italiani – c’è chi formalmente un lavoro ce l’ha ancora, «è in cassa integrazione, ma è arrivata tardi, per cui ha utilizzato i risparmi per gli affitti, i mutui, le bollette», spiega il diacono. I tanti decessi per Covid, più di 900 nel Piacentino, hanno privato alcuni nuclei dell’aiuto dei nonni, che con la pensione contribuivano al bilancio familiare. E c’è chi il lavoro l’ha perso del tutto, specie nei settori della ristorazione e degli alberghi. «Per non parlare delle piccolissime imprese artigiane o commerciali che rischiano di chiudere per sempre», avverte Idda.

Il fondo
La parola d’ordine è non fermarsi all’assistenza, aiutare il territorio a ripartire. Per questo prevede un circuito di microcredito per artigiani e commercianti in sofferenza, ma pure una formula di finanziamento per le start up, il protocollo "Insieme Piacenza", siglato il 16 luglio da Comune, Diocesi, Caritas, Fondazione di Piacenza e Vigevano e Crédit Agricole Italia. Partito con una base di 1 milione e 700mila euro, interverrà anche sull’emergenza abitativa. La prospettiva è ampliare la rete di "Casa tra le case", proposta che Caritas porta avanti dal 2016 per assicurare affitti a prezzi calmierati.

«La casa di Paolo»
Ma c’è un altro seme di speranza che, attingendo dal fondo sociale, fiorirà a Piacenza tra le macerie del Covid. È "La casa di Paolo", progetto per i lavoratori precari voluto da don Paolo Camminati, il parroco di Nostra Signora di Lourdes morto a 53 anni il 21 marzo, uno dei sei sacerdoti diocesani vittime del coronavirus. Nell’ex canonica sorgeranno dei mini alloggi riservati a chi, in una città votata alla logistica, non ha un contratto tale da assicurargli una soluzione abitativa stabile e finisce per dormire nel furgoncino con cui trasporta la merce, se non in qualche riparo di fortuna quando il turno non combacia con gli orari dei dormitori.

«La casa è la base per costruire una solidità lavorativa – spiega Chiara Incorvaia, che in Caritas si occupa di accoglienza –. Se hai un lavoro ma non un luogo dove lavarti e riposare, non ce la fai a mantenerlo». Ancor di più nel bel mezzo di una pandemia. Caritas ha riorganizzato il servizio dormitorio inserendo gli utenti – maschi e singoli, con i quali è stato costruito un progetto per l’autonomia – in cinque alloggi, a piccoli gruppi. E c’è chi nel lockdown ha trovato uno sbocco lavorativo, come addetto alla sanificazione o ai controlli agli ingressi dei supermercati. «Anche nella crisi – annota Chiara – si aprono opportunità. Ma senza quegli appartamenti messi a disposizione dalle parrocchie o da privati, cioè senza poter contare sulla comunità, tutto questo non sarebbe possibile».

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