martedì 29 giugno 2010
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Quando i riflettori si accendono sulla cronaca, tutto il resto spesso resta in ombra. Il pentito Gaspare Spatuzza, condannato per l’omicidio di don Pino Puglisi, con le sue dichiarazioni sta provando a riscrivere alcune delle parti più nebulose degli anni delle stragi di mafia; lo Zen viene messo a ferro e fuoco per contrastare il cronico fenomeno dell’occupazione abusiva delle case; il centro storico e le periferie sono invasi dalla spazzatura e dal degrado. Ma in quegli stessi quartieri, all’ombra, ci sono segnali di rinascita che hanno i volti di artisti in erba e insegnanti missionari, sacerdoti che sanno operare nel silenzio e volontari che vogliono sporcarsi le mani.Brancaccio, la borgata in cui quasi 17 anni fa fu decisa l’esecuzione di don Puglisi, il parroco che in appena tre anni era riuscito a svegliare le coscienze degli abitanti, è sempre una periferia dalle mille contraddizioni. Qui ha appena aperto un grande centro commerciale, c’è la nuova scuola voluta da don Puglisi, sono stati ripuliti i famosi magazzini di via Hazon, negli anni Novanta sede di ogni forma di illegalità, ma restano i passaggi a livello a chiudere ed emarginare questo pezzo di città. «Qui c’è un mondo in miniatura, dalla povertà estrema al possidente terriero – racconta don Maurizio Francoforte, parroco di San Gaetano da un anno e mezzo. – Gli spazi non mancano, ma non c’è una progettualità. Speriamo nell’apertura della fermata della metropolitana – aggiunge – ma il problema è che le periferie non possono più essere viste come gli sgabuzzini della città, dove si mette tutto ciò che non si vuole nel salotto buono. Devono essere centri promozionali di riconquista sociale e culturale. Non dimentichiamoci che anche Gesù è nato in una periferia». Così, in un quartiere dove la parola famiglia assume tutti i significati tranne quello corrente, dove il pagamento del pizzo, secondo le inchieste della magistratura, è a tappeto, qualche segnale di cambiamento arriva. «A partire dalla promozione della figura di don Puglisi – dice don Maurizio. – Finora si è sottolineato poco che lui è morto per la comunità, per difenderla, da pastore coerente. Lui non vedeva solo degrado e miseria, lui vedeva uomini, persone e ogni persona è preziosa. Così, adesso noi preghiamo don Pino ogni giorno. Qualche tempo fa è morta una zia dei Graviano (i mandanti dell’omicidio di don Puglisi, ndr) e tutti, ai funerali, hanno pregato per don Pino».E poi bisogna puntare sulla famiglia, quella vera, «rimetterla al centro con un progetto educativo – aggiunge il parroco. – Bisogna responsabilizzare la famiglia, per curare la crescita nella fede dalla nascita alla morte. Ma dobbiamo anche incidere nella cultura di questo quartiere, entrare in relazione con la scuola, le biblioteche, dobbiamo insegnare ai bambini ad avere rispetto delle istituzioni, del creato, delle leggi, e agli adulti a fare emergere quello che c’è di bene».Un esempio esiste già e porta il nome del fiore preferito da don Puglisi. L’associazione "Quelli della rosa gialla", fondata undici anni fa da Pippo Sicari, un medico di Brancaccio che la guerra di mafia l’ha vista in diretta, ma che ha deciso di «portare avanti gli insegnamenti di pace e legalità di don Pino e dimostrare che a Brancaccio si può produrre anche cultura, non solo mafia». Oggi sono 150 i giovani e meno giovani di tutta la città, che hanno scoperto i valori della vita grazie al canto, migliaia quelli che li hanno assaporati come spettatori dei musical portati in giro per l’Italia. Un successo straordinario il Father Joe, dedicato a don Puglisi, nel 2008 al Brancaccio di Roma. Adesso la nuova missione è sensibilizzare i giovani contro l’abuso di alcol e contro le stragi del sabato sera. È questo il tema della favola-musical Petali nel blu, realizzata su commissione della Polizia di Stato e messa in scena già a Palermo e Catania. E i primi risultati, in termini occupazionali e artistici, si sono già visti: «Nico ha cantato a X Factor – racconta Sicari – Valentina, Serena e Angela sono diventate coreografe, Debora e Antonella attrici. Il mio sogno è creare qui, a Brancaccio, una scuola di teatro».Perché è strappando luoghi e braccia all’illegalità che si costruisce il vero riscatto di Palermo. Anche a costo di diventare bersaglio di loschi interessi criminali. Una testimonianza arriva dal centro storico, a due passi dal porticciolo della Cala, vecchio cuore antico della città. A piazza Tavola Tonda, è nato il Centro delle arti e delle culture, che fra le varie associazioni ospita anche l’asilo multietnico Ubuntu, più volte destinatario di attentati intimidatori. Interamente gestito da volontari e collaboratori, offre un servizio gratuito ai bambini da zero a cinque anni. Per i più grandi che frequentano le elementari, la struttura si trasforma in una ludoteca dove trascorrere il pomeriggio e svolgere i compiti dopo la scuola. Ottanta bambini di diverse nazionalità, tutti figli delle famiglie di immigrati che hanno trovato a Palermo un’alternativa agli stenti dei loro Paesi.Piccoli cuori pulsanti in realtà che, dall’esterno, sembrano aride, immobili e piene di contraddizioni. L’emblema di ciò che questi quartieri sarebbero potuti diventare è quell’enorme insegna piantata al centro di una piazza dello Zen e circondata da rifiuti di ogni genere. A sorpresa recita "Il giardino della civiltà". Uno scorcio di "paesaggio" che le decine di bambini che frequentano il doposcuola e le attività ricreative dell’associazione "Lievito" si trovano sotto gli occhi quando escono da casa, quando aprono la porta del centro, quando vanno a scuola, quando giocano per strada. E proprio lì, in alcuni locali incuneati in una delle insule progettate da Vittorio Gregotti e diventate paradigma del degrado sociale, quei volontari hanno deciso, quattro anni fa, di creare la propria sede operativa. I volontari sono tutti ragazzi dello Zen e suore di Carità che operano nel quartiere. «Abbiamo detto basta con l’ottica assistenziale, per cui gli aiuti vengono solo dall’esterno e, se sei un poveraccio, ci puoi restare» precisa il presidente Salvo Riso. Ed è scattata la logica della collaborazione fra le diverse realtà presenti a San Filippo Neri, per tentare di diventare compagni di viaggio di chi è abituato ad avere come unica scelta quella dell’illegalità.
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