venerdì 10 maggio 2013
​Il presidente del Pontificio Consiglio al seminario promosso da Retinopera e Settimane sociali: la famiglia è capitale da sostenere perché bene di tutti.
COMMENTA E CONDIVIDI
Le politiche sociali «si possono definire tali solo se hanno l’obiettivo, diretto ed esplicito, di "fare famiglia"». Ovvero se e nella misura in cui «riconoscono il valore sociale aggiunto della famiglia, se la considerano come capitale sociale da sostenere non perché cattolica, ma profondamente umana. Se essa viene vista come risorsa della società».L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del pontificio Consiglio della famiglia, è stato netto nel definire, ieri pomeriggio a Roma, quale sia il "nuovo corso" da intraprendere per sostenere la famiglia come «il vero pilastro della società». Intervenendo all’Università Gregoriana al seminario promosso da Retinopera e dal Comitato per le Settimane Sociali sul tema "La questione antropologica è questione sociale: le sfide della famiglia oggi”, s’è richiamato ai dati della ricerca effettuata in occasione del VII Incontro mondiale delle Famiglie, svoltosi a Milano lo scorso giugno, per ribadire che «la famiglia si dimostra più forte di tutti i picconatori, ha una tale potenzialità che non c’è governo che possa distruggerla». Eppure, ha aggiunto, oggi è «colpita alla radice come non era stato da millenni», quanto invece la famiglia «non è solo il futuro - come recita il titolo della prossima Settimana Sociale – ma è stata pure il passato dell’Italia e ne è il presente».Introducendo l’incontro, Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito e della Fondazione vaticana "Centro internazionale Famiglia di Nazareth", aveva posto in evidenza come la definizione La questione antropologica è questione sociale, ripresa da Benedetto XVI, nella sua dizione completa comprende un avverbio dopo l’"è", radicalmente «che esprime senza possibilità di equivoco la prospettiva da cui guardare» al problema. Richiamandosi a questa stessa prospettiva, Paglia ha stigmatizzato la deriva di una cultura che pretende di «precedere la natura», come quella che propugna l’idea di gender. Una cultura seguendo la quale «si tende a livellare ogni cosa e distruggere ogni differenza, separando matrimonio e famiglia», fino a che «la famiglia diventa un "patto liquido”, come la “società liquida". Questo però – ha aggiunto – è una tragedia immane, una "vulgata" vestita di cultura di cui neppure ci rendiamo conto, e dove chi paga il prezzo più alto sono i bambini, i malati, gli anziani».Eppure «la famiglia – ha osservato ancora il presule, agganciandosi ai dati della ricerca i cui risultati ha di recente presentato anche in diversi contesti internazionali – è il pilastro su cui si reggono le nostre società e i nostri popoli, soprattutto nei momenti di crisi... realizza in maniera unica la solidarietà tra generazioni, meglio di qualunque altra realtà associativa», e «rimane una risorsa per il mondo del lavoro più di quanto accada viceversa». Nella famiglia, insomma, «ci sono una qualità di partecipazione, dono e prospettiva che altrove non si trovano». Ecco dunque che «in una società globalizzata c’è bisogno di più famiglia», e di ridare a essa «i diritti che le spettano in quanto tale».Un obiettivo che Lidia Borzì, del Forum delle associazioni familiari del Lazio, ha ripreso nel suo intervento, ricordando la sollecitazione venuta dal Forum al governo Letta di riprendere in considerazione il “Piano nazionale per la famiglia”. «Non accettiamo più la giustificazione che non ci sono soldi – ha concluso – in tempi di vacche magre le risorse vanno allocate dove c’è più bisogno, ovvero dove si ha un effetto moltiplicatore».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: