giovedì 29 ottobre 2020
Gli studenti di un liceo, l’operaio, una madre e una figlia, gli operatori sanitari. «È riesploso tutto in una settimana, ma quando il sistema funziona l’ansia si può gestire»
L’arrivo delle persone allo stadio per il tampone rapido

L’arrivo delle persone allo stadio per il tampone rapido - Av

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Era da un un pezzo che non si vedeva tanta gente all’Euganeo. Sembra di essere tornati agli anni di El Shaarawy, di Darmian, di Bonaventura. E poi tutte queste auto allineate su viale Nereo Rocco. Il triestino portò la squadra sul podio della serie A, ma allora non si faceva neanche l’antidoping ai calciatori, figurarsi il tampone naso-faringeo. Sembrano passati secoli persino dal 2019, quando a gremire la tribuna Fattori erano gli ultras e non i tamponandi dell’Ussl numero sei, che presidia la salute di 210mila padovani. Vo’ Euganeo ha fatto scuola. Da lunedì nella città che è diventato il simbolo dei tamponi – la ricetta Crisanti contro la pandemia – lo stadio è la centrale del nuovo screening. Più di 1.000 esami al giorno, il 70% di test rapidi e l’8% di positivi scoperti in questo modo e spediti in quarantena.

C’è ansia tra color che son sospesi: liceali spediti a tamponarsi dalla direzione didattica perchè uno di loro è stato trovato positivo, operai preoccupatissimi per il collega che è finito in terapia intensiva, operatori sanitari per i quali lo screening è diventato ormai una rountine... Tutti in coda, disciplinatissimi in attesa di entrare nei box dove il distretto somministra tamponi rapidi e molecolari. In fila con l’impegnativa e poi via: autocertificazione, accettazione, box prelievi... in due ore l’incubo è alle spalle. «Sta passando di qui tutto il liceo Cornaro – ci racconta Lucia Grazio, quinto anno dello scientifico padovano – perché un solo caso positivo, ma finora non ce ne sono stati altri. Del resto, era scontato: la nostra scuola attua il distanziamento e usa le mascherine, insomma adottiamo tutte le precauzioni possibili».

Madre e figlia ieri, dopo aver fatto la coda per il test

Madre e figlia ieri, dopo aver fatto la coda per il test - Av

Visibilmente più scosso Michele Martinello, che viene da Noventa Padovana: «Noi facciamo il nostro dovere, ma la paura c’è e la alimentate voi media, oltre al governo che sembra molto confuso su quel che va fatto e non va fatto per fermare questa malattia». Loredana Scalpelli è un’operatrice sanitaria e deve testarsi ogni otto giorni. Lavora con persone vulnerabili e ci conferma che «la paura è tornata, ci sembra di essere ripiombati nel mese di marzo».

I numeri non lo dicono ancora, per quanto il Veneto sfondi ormai i 2.000 casi giornalieri di Covid-19, con 2.143 nuovi contagi solo ieri, che portano il totale da inizio pandemia a 49.135 malati. Il Bollettino regionale registra inoltre 11 decessi, con totale a 2.355. Per completare il quadro ci sono i positivi: 21.600, in isolamento domiciliare 15.993 persone (+1.326), di cui 6.949 positive (+532) e 480 sintomatici. Cresce anche la pressione sugli ospedali, con 802 ricoverati nei reparti non critici (+53) e 94 (+6) nelle terapie intensive. Il trend è ben presente tra chi lavora sotto gli spalti dell’Euganeo. I sanitari attestano però che la situazione è sensibilmente diversa dalla scorsa primavera.


1 Il tampone classico
Il tampone o test molecolare, che identifica la presenza di materiale genetico del coronavirus, è il test raccomandato per la diagnosi dall’Oms e dal ministero della Salute. Viene effettuato sul materiale biologico prelevato con un bastoncino lungo, simile a un cotton fioc, dalle mucose del naso e della gola. Richiede personale qualificato, reagenti e macchine che impiegano da 24 a 72 ore per dare un risultato. Il margine di errore è basso.

2 Il test rapido antigenico
Il test rapido antigenico va alla ricerca di proteine del virus (gli antigeni) e non di frammenti del genoma virale. È più semplice da svolgere: il materiale biologico viene prelevato tramite un cotton fioc da naso e gola ma non richiede che si vada troppo in profondità. Il risultato arriva in 15–30 minuti, il tempo di miscelarlo a un reagente e versarlo su una striscia di carta che si colora se l’antigene è presente. È però meno sensibile del tampone

3 Lʼesame salivare
Anche la saliva di chi ha il Covid (una delle principali vie di trasmissione del virus) ha dimostrato di contenere molecole del SarsCov2. Numerosi sono i test in sperimentazione che, grazie a un reagente, riconoscono la presenza dell’infezione. Il campione viene sempre prelevato con un cotton fioc passato in bocca, però, e per il risultato servono 3 o 4 minuti. Restano però molti dubbi sulla sua affidabilità

«Disponiamo di tutti i dispositivi di protezione necessari, c’è ansia, ma per quello che potrebbe succedere se esplodessero i contagi, non tanto per il livello di emergenza attuale» ci dice Laura Pastori, una delle specializzande che lavorano qui. Ma ansie e timori hanno comunque un fondamento. All’ospedale di Padova, intanto, sono cresciuti i ricoverati – 57 agli infettivi, 12 in terapia semintensiva e 18 in intensiva, ma in aprile erano 200 – e, come ci conferma il direttore sanitario Daniele Donato, «l’esplosione è avvenuta in una settimana». L’azienda ospedaliera, che ha già fatto 600mila tamponi da febbraio, continua a lavorare su tutti i fronti e non solo sul Covid-19. Ha appena effettuato quattro trapianti in contemporanea, e Donato fa molto affidamento «sulla rete di servizi che il Veneto ha approntato, fatta di ospedali e non solo, che può aprirsi e chiudersi secondo le necessità».

Fabio Verlato coordina le operazioni allo stadio Euganeo di Padova, dove ogni giorno si eseguono test a mille persone

Fabio Verlato coordina le operazioni allo stadio Euganeo di Padova, dove ogni giorno si eseguono test a mille persone - Av

La Regione spinge per i nuovi Covid Hospital. Tra due giorni il Veneto passerà in fascia 3, ma il clima è ancora quello di una trincea ben difesa e questa trincea passa per lo stadio Euganeo: Fabio Verlato ha lavorato per 24 anni in ospedale, come angiologia, e oggi è il direttore del distretto sociosanitario Ussl 6; ogni mattina è qui, sulla prima linea della prevenzione, una Maginot contro l’ondata di contagi data per imminente. Con lui lavorano una quindicina tra medici e sanitari, ma tutto intorno è stata stesa una rete di medici di famiglia e pediatri di libera scelta, medici Usca (le Unità di supporto di continuità assistenziale) e naturalmente l’azienda ospedaliera padovana e gli ospedali del distretto, da Schiavonia a Piove di Sacco e a Campo Sanpiero, con le loro unità Covid-19. Il modello veneto, che ha fronteggiato l’avanzata del coronavirus dalla prima epidemia di Vo Euganeo, è basato, ci racconta «sulla sanità territoriale che ancora adesso sta garantendo quella assistenza medica domiciliare che ci permette di non ingolfare i pronto soccorso degli ospedali».

Previo accordo con la Regione, i medici di famiglia veneti potrebbero effettuare i test autonomamente. Verlato è un grande sponsor del tampone rapido, da non confondere con quello sierologico e basato sulla rilevazione dell’antigene «perché consente uno screening di massa che altrimenti non sarebbe praticabile in tempi altrettanto brevi». Una sola narice esplorata, un vasetto, un reagente e un quarto d’ora per avere il risultato, contro le 48 ore, quando va bene, del molecolare. C’è chi eccepisce sull’affidabilità di questo strumento, ma Verlato fa notare che, «se l’obiettivo è individuare i positivi che possono infettare altre persone, il test rapido è utile». Anche l’ospedale di Padova, del resto, li utilizza, perché, come dice Donato «sono uno strumento epidemiologico efficiente».

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