martedì 6 dicembre 2016
Il ministro dell'Economia il più accreditato per la successione a Renzi. Il presidente del Senato segnerebbe una maggiore discontinuità.
Scenari per il governo: Padoan scalda i motori, Grasso perde punti
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L’iter della crisi del governo Renzi non è ancora del tutto definita ma già impazza, inevitabilmente, il 'totonomi' sul prossimo inquilino di Palazzo Chigi. Oltre al ruolo decisivo del presidente Mattarella occorre tener conto di diverse variabili ancora in via di definizione: dalla permanenza o meno di Renzi al vertice del Pd, alla battaglia tra maggioranza e minoranza dem fino ai possibili equilibri parlamentari riguardo alla riforma elettorale, una delle incombenze in qualche modo obbligatorie che attendono le Camere nei prossimi mesi. Senza dimenticare fattori 'esogeni' come quelli legate alle urgenze economiche e alle aspettative internazionali. Non a caso, in queste ore il nome più gettonato per la guida del governo è quello del ministro uscente dell’Economia Pier Carlo Padoan, seguito a distanza dal presidente del Senato Piero Grasso. La prima è un’ipotesi che garantisce una certa continuità politica. L’altra strada ha invece un volto istituzionale e metterebbe un punto su questa stagione renziana pur restando all’interno della galassia pd, partito che – è bene ricordarlo – con la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato resta l’architrave di qualunque governo. L’attuale ministro dell’Economia, dalla sua, può vantare l’ampia rete di relazioni internazionali, la credibilità personale e a un buon rapporto con lo stesso Renzi. Il profilo è quello tecnico ma 'stemperato' dall’esperienza degli ultimi tre anni. Il che lo renderebbe più smaliziato rispetto alla battaglia politica ma nello stesso più esposto – per la rilevanza avuta nel governo attuale – agli affondi delle opposizioni.

A suo favore giocano appunto le emergenze dell’economia e la sua padronanza dei dossier: la strisciante crisi bancaria che rischia di acuirsi da un giorno all’altro; la legge di bilancio non solo da approvare nei prossimi giorni in via definitiva ma anche poi da attuare nel concreto; i rapporti con la Commissione Ue che ieri ha dato un po’ più di tempo all’Italia ma non ha rinunciato a mettere in mora i nostri conti pubblici, chiedendo misure correttive sul deficit da vagliare poi a marzo. Non è certo un caso che ieri il ministro abbia rinunciato ad andare all’importante vertice all’eurogruppo di Bruxelles (dove si decideva anche sul caso Italia) inviando al suo posto il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. Ma non senza prima sentirsi con l’influente collega tedesco Wolfang Schäuble, colloquio telefonico che è parso un’indicazione. La situazione in divenire imponeva ieri una permanenza di Padoan a Roma. Dove c’erano da gestire il caso Mps e le reazioni dei mercati all’indomani del terremoto referendario. In verità ieri il temuto lunedì nero post-voto non c’è stato. Il settore bancario italiano è in forte fibillazione in attesa dell’esito della ricapitalizzione di Mps, ma nel complesso le Borse europee hanno aperto in moderato calo per poi invertire la tendenza. Piazza Affari che in un primo momento segnava un -1,7%, ha chiuso a -0,21, vicina alla parità. Anche lo spread tra il Btp italiano e il Bund tedesco si è allargato ma solo marginalmente, chiudendo a 165 punti dai 162 di venerdì scorso dopo una breve fiammata in mattinata. Un esito dovuto al fatto che l’esito del referendum era già in parte scontato dai mercati e forse anche propiziato dall’ipotesi di una transizione rapida verso un governo tecnico con lo stesso Padoan nelle vesti di traghettatore. In questo scenario sembrano ridotte le chances di Pietro Grasso.

Il nome del presidente del Senato resta non particolarmente gradito ai renziani del Pd. In più, un suo incarico da premier imporrebbe di trovare un sostituto alla presidenza di Palazzo Madama, stressando ulteriormente un passaggio politico già delicato. Se però l’esigenza primaria diventasse quella di raggiungere un’intesa sulla legge elettorale con almeno una parte delle opposizioni, allora il nome di Grasso potrebbe tornare in auge. Resta da vagliare l’esito di un incarico a un altro esponente politico del Pd. Una strada che passa da un accordo sul futuro della legislatura tra il nuovo capo del governo e lo stesso segretario dem, oppure da un passo indietro di quest’ultimo (al momento improbabile) anche dal vertice del Nazareno. In questi casi potrebbero prendere peso nomi come quelli del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, stimato dalle diverse anime dem interne del Pd e politicamente molto esperto. Oppure quello del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, grande mediatore e in stretto rapporto con lo stesso premier, anche se in passato qualche problema tra i due c’è stato. O ancora del ministro della Cultura Dario Franceschini, vicino al capo dello Stato, e già protagonista in altre fasi di transizione. Ma se Renzi punta a un ritorno a breve ai vertici della scena politica sceglierà un nome che non può mettersi in competizione con lui per la futura guida del governo. Come appunto Padoan.

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