giovedì 7 marzo 2013
​Le Regioni non sono pronte a farsi carico dei mille internati ancora negli Opg italiani: «Rimandiamo tutto». La protesta: sottodimensionate le strutture, poco personale e poche risorse
La follia di chiudere gli Opg senza una vera alternativa (di Giuseppe Anzani)
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La palla ora passa ai territori. Loro, però, non sanno da che parte girarsi. E tra carenze strutturali dei dipartimenti di salute mentale e una cultura poco avvezza al progetto individualizzato dell’internato, sembrano giocare una partita alla moviola. Poche buone pratiche non bastano a nascondere l’immobilismo di molte realtà locali, più preoccupate di non perdere i fondi stanziati dal ministero che dei malati. La proroga, ufficialmente, non è arrivata. L’hanno chiesta almeno fino al 30 giungo le Regioni spiegando che, entro il 31 marzo, difficilmente riusciranno a farsi carico dei mille internati ancora negli Opg italiani. Ma il governo potrebbe fare un passo in più, rimandando la chiusura dei nosocomi criminali al 2014. «Nelle regioni non è stato ancora avviato quasi nulla – attacca Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta –. È gravissimo che la metà degli internati sia in Opg perché non c’è alcuna accoglienza sul territorio».Da Nord a Sud, la mappa dei dipartimenti a pieno regime è semivuota. Fa scuola il modello Trieste, esteso a tutto il Friuli, il territorio che ha la percentuale più bassa di internamento del Paese (uno ogni 60mila abitanti), perché ha puntato sulla prossimità. Sì ai centri di salute mentale h24, ai programmi individuali specializzati e ai fondi orientati su gruppi di auto-aiuto, sulle relazioni del malato e sull’inserimento lavorativo. Anche l’Emilia Romagna viaggia nella direzione giusta; nell’ultimo anno i pazienti dell’Opg sono dimezzati, e i 50 internati emiliani sono quasi tutti in fase di licenza sperimentale.È all’avanguardia inoltre Verona, che per prima ha aperto una struttura di cura alternativa all’ospedale psichiatrico da 18 posti. Ma il discorso non vale per il Veneto dove gli internati continuano a restare 70, anche se nel 2012 ne sono stati dimessi 34. Si lavora sodo poi in Lombardia, dove i pazienti oggi in cura hanno «progetti attivi di inclusione totale nella comunità» conferma Andrea Materzanini, direttore del Dsm di Iseo (Bs). Ma i 300 internati che arriveranno dagli Opg, continua Giovanna Del Giudice, responsabile del Forum salute mentale, rischiano di non avere le giuste cure «per gli accorpamenti dei servizi sul territorio dovuti alla spending review».Nel resto d’Italia la frase ricorrente, tuttavia, è: «Abbiamo centri sottodimensionati per uomini e risorse». La Sicilia, in forte accelerata dopo il sequestro dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, ha preso in cura 37 degli 84 internati siciliani, accogliendoli in comunità di riabilitazione, da 202 euro al giorno. Molto più caotica la situazione nel Lazio dove i quasi duecento nuovi pazienti che arriveranno nei Dsm andranno a appesantire «una situazione già ingestibile, con colleghi costretti ai doppi turni - racconta Tonia Di Cesare, psichiatra della Asl Roma C - e pensionamenti non reintegrati». In Campania, pur non essendoci più alcun internato della regione nell’Opg di Aversa, il sistema di cura fa acqua da tutte le parti, ad eccezione di Caserta, dove con il «budget di salute» si è riusciti ad accogliere molti pazienti in residenzialità leggera.A rilento anche la Toscana dove, mentre la Regione discute sui siti da utilizzare come nuovi alloggi per 40 internati, tutto è demandato alla progettualità di alcuni dipartimenti (Arezzo, Livorno e Pistoia). La questione di fondo, è che «manca il coraggio di assumersi la responsabilità - ammette Vito D’Anza, a capo del Dsm di Pistoia - in un momento in cui si fa psichiatria difensiva». Marche e Puglia hanno rinunciato a costruire nuove spazi di degenza; non è così in Abruzzo, dove i 3,6 milioni di euro del ministero saranno utilizzati per edificare ex novo una residenza a Lanciano, che sa tanto di manicomio moderno.
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