sabato 23 aprile 2016
Ironia e battute sui pazienti colpiti Nel mirino i figli di rom e stranieri
Le cartelle cliniche? Erano in bagno
Ospedale degli orrori «Gioco al massacro»
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C’è una caratteristica comune a tutte le vittime degli orrori del reparto di Ginecologia ed Ostetricia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria: erano 'nessuno', esclusi dalla consolidata pratica delle consulenze, a pagamento, degli stessi 'camici bianchi' nel proprio studio privato. Erano poveri, perché non erano capitati al momento giusto ed al posto giusto, come si evince dagli stralci dell’indagine, in cui queste donne «vengono impapucchiate » nel senso che alle stesse, «quando si è interpellati a riguardo», si dice «una cosa al posto di un’altra». O addirittura, nel caso della sorella di un medico, sottoposta ad aborto senza consenso, l’essere una congiunta del primario annullava il proprio status di madre del nascituro, così il dottor Filippo Luigi Saccà per compiacere alla volontà del fratello, il dottor Alessandro Tripodi, affermava come la strategia fosse chiara. «Io mi allontano un attimo, quando torno ho già l’ovulo dentro la mano, e via». Nomi e storie distrutte da un sistema di omissioni, ma anche di freddo cinismo e di incomprensibile ilarità sui casi più gravi, come dimostra la conversazione tra Tripodi e l’ostetrica Giuseppina Gangemi, su un caso di rottura del collo dell’utero, per una manovra maldestra, di un altro indagato. «Immagino, stava morendo no? (ride)». Figli di rom e di stranieri al centro delle 'disattenzioni' al vaglio degli inquirenti nell’Operazione 'Mala Sanitas' che ha scardinato un modello illecito, basato su cartelle cliniche mai redatte o fatte scomparire, come intima l’allora primario Pasquale Vadalà rispetto ad un caso sospetto «Allora: chiudete questa cartella in un cassetto. Chiudila nell’armadio intanto!». Così quando intervengono colleghi di altri reparti è allarme rosso a Ginecologia ed Ostetricia, come ri- vela la conversazione tra Saccà e Tripodi: «Però ora sono tutti spaventati, hai capito, si sono presi la cartella nostra i neonatologi, perché cercavano di caricarcela a noi». Uno scarico di responsabi-lità, che si trasforma in un «nascondino » per Tripodi, figura centrale dell’indagine, preoccupato di «timbrare e stimbrare il cartellino» per «non comparire» ogniqualvolta accade un evento infausto, scrive il gip Antonino Laganà. Freddezza e distacco, per evitare guai, per «pararsi» da chi «sta sul piede di guerra», parlando di una donna che aveva perso il proprio bimbo poche ore prima. Efferatezza dei reati sui quali la magistratura aveva puntato i riflettori, ma che non preoccupavano più di tanto i coinvolti. Come si capta nella conversazione tra la dottoressa Daniela Manuzio ed il marito avvocato, che parlando degli inquirenti commentano così: «Quelli della Dda, vedi tu, al posto della criminalità organizzata fanno queste cose…». Il quinto piano degli Ospedali Riuniti sarebbe stato dunque un luogo simbolo di bugie e mistificazioni, dove sarebbe avvenuto un gioco al massacro sulla pelle dei pazienti e della loro speranza di essere genitori. «Snobbata » l’attività della Procura e sottovalutata la reazione dei tanti pazienti, che anche ieri dopo aver appreso la notizia dell’indagine, si sono recati presso gli uffici dei pm titolari dell’inchiesta per denunciare quanto altro sarebbe accaduto nel reparto degli orrori.
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