mercoledì 29 maggio 2019
L'uomo è stato riconosciuto responsabile di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi la ragazza alla quale aveva anche offerto della droga. Per altre tre persone la procura ha chiesto l'archiviazione
Pamela Mastropietro

Pamela Mastropietro

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La corte d'assise di Macerata ha condannato all'ergastolo il pusher nigeriano Innocent Oseghale, ritenuto responsabile di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro, i cui resti sono stati ritrovati il 31 gennaio 2018 all'interno di due trolley nella campagna di Pollenza, a pochi chilometri da Macerata. La sentenza è arrivata dopo una camera di consiglio che è iniziata poco prima delle 15 e si è protratta per circa 5 ore. La condanna ricalca in pieno la richiesta dell'accusa, che anche nella replica di oggi aveva chiesto per Oseghale il massimo della pena.

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Il processo

Le perizie sulle ferite sui resti di Pamela, gli esami tossicologici, la personalità della 18enne romana affetta da una diagnosi borderline associata alla dipendenza da droga, i teste dell'accusa, in primis l'ex collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, e quelli della difesa, come i tre ex compagni di cella di Innocent Oseghale. Sono questi alcuni dei punti principali del processo a Innocent Oseghale, il nigeriano imputato davanti alla Corte di Assise di Macerata con l'accusa di aver violentato, ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro, che si allontanò il 29 gennaio 2018 dalla comunità Pars di Corridonia e due giorni dopo i resti furono ritrovati chiusi in due trolley in una zona industriale di Pollenza.

Il processo a Oseghale, dove la mamma e il papà della ragazza si sono ritrovati seduti a pochi metri dall'imputato, si è aperto il 13 febbraio scorso. Oltre alla famiglia, sono stati ammessi come parti civili il proprietario dell'appartamento di via Spalato, dove la ragazza è morta, e il Comune di Macerata. Dieci udienze, nel corso delle quali l'orrore sul corpo di Pamela è piombato nell'aula del Tribunale con le foto choc del modo in cui è stata ridotta.

LA VERSIONE DI OSEGHALE, "NON L'HO VIOLENTATA NÈ UCCISA" - In aula l'imputato ha ammesso di aver fatto a pezzi Pamela, ma ha negato di averla violentata e uccisa. Secondo la difesa, Pamela sarebbe morta per overdose e il rapporto tra i due, fuori dalla casa, è stato consenziente. Secondo le dichiarazioni spontanee fatte da Oseghale in aula, Pamela si è iniettata la droga nella sua casa di via Spalato e poi si è sentita male: «Mentre stavo mettendo la musica, ho sentito un tonfo», ha detto l'imputato spiegando di essere «andato a verificare cosa fosse successo» e di aver «trovato la ragazza a terra, le fuoriusciva qualcosa dalla bocca, l'ho presa in braccio e appoggiata sul letto». In seguito, convinto che stesse meglio, sarebbe uscito per una consegna di droga, ma una volta tornato la ragazza «non respirava più». Preso dal panico, ha raccontato di aver deciso di disfarsi del corpo, ma visto che «non entrava in valigia ho deciso di farla a pezzi». «Voglio pagare per il crimine commesso ma non per quello che non ho fatto», ha ribadito. La difesa del nigeriano ha chiesto l'assoluzione dalle accuse di violenza sessuale e omicidio, la condanna al minimo della pena per il vilipendio, la distruzione e l'occultamento di cadavere.

LA RICOSTRUZIONE DELLA PROCURA: "CONDANNA ALL'ERGASTOLO" - Per il procuratore Giovanni Giorgio e il pm Stefania Ciccioli Pamela «non è morta di overdose, è stata uccisa da Oseghale con due coltellate» perché voleva andarsene dalla casa di via Spalato dove l'imputato continuava a pretendere da lei, stordita, rapporti sessuali. Pamela «è stata uccisa perché ha voluto sottrarsi a tutto quello che stava capitando nell'abitazione di Oseghale», ha detto Ciccioli. D'altra parte, lo ha ribadito anche oggi il procuratore Giorgio, Oseghale «ha strumentalizzato Pamela come un giocattolo», lei era solo «uno strumento per soddisfare la sua cupidigia sessuale». E quando lei ha reagito, secondo l'accusa, lui l'ha accoltellata d'istinto. La richiesta della procura è l'ergastolo e 18 mesi di isolamento diurno senza alcuna attenuante generica.

BATTAGLIA TRA I PERITI - Autentica battaglia tra periti in aula nel corso del processo. Tutto ha ruotato sulle lesioni riscontrate sui resti della ragazza: secondo l'accusa due coltellate al fegato sono state inferte da viva e sono la causa della morte, mentre per la difesa non è affatto certo, potrebbero invece essere post mortem, quando è stata fatta a pezzi. Delle lesioni riscontrate sul corpo di Pamela Mastropietro due, alla base dell'emitorace destro, sono vitali, ossia le sono state inferte da viva, e sono compatibili con un'arma da punta e taglio, ha riferito Mariano Cingolani, medico legale incaricato dalla procura. Sulla stessa linea la consulente di parte civile, Luisa Regimenti, per la quale «Pamela fu uccisa da due colpi di fendente al fianco destro». Al contrario per il consulente medico legale della difesa Mauro Bacci «non ci sono elementi di certezza per dire che ci sono delle lesioni vitali» al fegato cioè inferte a Pamela quando era in vita. Secondo Bacci sarebbe stato opportuno utilizzare più marcatori per valutare la vitalità o meno delle lesioni: proprio per questo la difesa ha avanzato istanza per una nuova perizia sulle ferite, ma la Corte di Assise ha respinto la richiesta.

Al centro della discussione anche le perizie tossicologiche sui resti di Pamela. Secondo l'accusa è esclusa senza dubbio l'ipotesi di una morte per overdose: al momento del decesso Pamela Mastropietro «era sotto effetto di stupefacente», ha osservato il consulente tossicologico della procura Rino Froldi, tuttavia i risultati degli esami effettuati non sono coerenti con una morte per overdose. Al contrario, la consulente della difesa, la tossicologa Paola Melai, ha messo in dubbio la metodologia usata e ha sostenuto che non si può escludere che Pamela sia morta per overdose.

IL TESTIMONE MARINO - Vincenzo Marino, teste dell'accusa, ha raccontato in aula di aver ricevuto le confidenze di Innocent Oseghale quando ad Ascoli furono detenuti insieme per un breve periodo. «Mi disse che la ragazza arrivò a Macerata, ai giardini Diaz, e gli chiese un pò di eroina», ha detto Marino secondo il quale Oseghale si rivolse al suo connazionale Desmond Lucky e in seguito i tre andarono nella casa di via Spalato «per consumare un rapporto a tre» perché i due volevano stare con la ragazza. Oseghale «mi raccontò che la ragazza si era fatta di roba, Desmond si avvicinò per approcciarla e la ragazza lo respinse, Desmond Lucky gli diede uno schiaffo e la ragazza cadde a terra e svenne. Poi Desmond Lucky se ne andò». A quel punto, secondo quanto l'imputato gli avrebbe riferito, Oseghale provò a rianimarla, ebbero un rapporto sessuale, poi la ragazza voleva andarsene «disse che se no l'avrebbe denunciato. Ebbero una colluttazione, Oseghale le diede una coltellata all'altezza del fegato e Pamela cadde a terra». Quando iniziò a sezionare Pamela, ha ricostruito Marino, Oseghale era convinto che la ragazza fosse morta invece «iniziò a muoversi e lamentarsi e gli diede una seconda coltellata».

I TRE EX COMPAGNI DI CELLA OSEGHALE, "MARINO INATTENDIBILE" - La difesa ha chiamato a deporre come testimoni tre ex compagni di cella di Oseghale, che hanno smentito la ricostruzione di Marino affermando che tra l'imputato e l'ex collaboratore di giustizia non c'erano possibilità di incontro e di colloqui. Secondo i tre detenuti con loro Oseghale ha sempre negato di aver ucciso Pamela: ha parlato di un rapporto sessuale «consenziente» in cambio dell'aiuto a trovare una dose di eroina e la morte dopo l'iniezione di stupefacente «per overdose», ha raccontato uno dei tre ex compagni di cella, Stefano Giardini. «Lui ha sempre negato le coltellate, lui ha detto che l'ha solo sezionata. Ha sempre negato di averla uccisa» e «disse che questa cosa l'ha fatta da solo», ha affermato il detenuto.

I TRE NIGERIANI PER CUI È STATA CHIESTA L'ARCHIVIAZIONE - In aula sono stati ascoltati anche i tre nigeriani Lucky Desmond, Awelima Lucky ed Anthony Anyanwu, inizialmente coinvolti in modo diverso nella vicenda ma per i quali la procura ha poi chiesto l'archiviazione. Lucky Desmond e Awelima Lucky hanno affermato di non essere mai andati a casa di Oseghale, il primo ha anche negato di aver ceduto la droga per Pamela. Anyanwu, che l'imputato chiamò al telefono per chiedergli aiuto dicendo che una ragazza in casa sua stava male, ha detto di non averlo incontrato il 30 gennaio, giorno della morte di Pamela.

I GENITORI PAMELA: "CONDANNA MASSIMA, NON UCCIDETELA DUE VOLTE" - «Ci aspettiamo il massimo della pena affinché Pamela non venga uccisa due volte», hanno detto alla vigilia della sentenza i genitori di Pamela Mastropietro, Alessandra Verni e Stefano Mastropietro. «Ci aspettiamo che l'imputato sia condannato per tutti i reati che gli vengono contestati - hanno sottolineato - Secondo noi Pamela è stata violentata, uccisa con due coltellate e poi martorizzata nel corpo nel modo che tutti sappiamo». «Non è stato un semplice depezzamento, ma qualcosa di crudele e diabolico», ha detto fin dall'inizio dal legale della famiglia della vittima.

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