sabato 22 dicembre 2012
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Appena giovedì sera il premier appa­riva sicuro di sé e della sua scelta: «Domenica (domani, ndr ) voglio presentare al Paese delle proposte forti, del­le proposte choc...». È davvero successo qual- cosa nelle ultime 24 ore? Come mai si sono fatte d’un tratto insistenti le voci – non con­fermate – circa «un passo indietro» di Mario Monti? Il professore ieri ha avuto il peggior risveglio delle ultime settimane.
Le pressio­ni perché restasse in disparte di colpo sono diventate ossessive. All’orecchio del premier giunge l’eco di un pressing asfissiante del Pd sul Colle: «Presidente – alzano i toni i massi­mi dirigenti democra­tici –, un anno fa lei ci ha convinto a soste­nere quest’avventura garantendo sulla ter­zietà di Mario Monti. Ora non è più così, e non è corretto. Non accetteremo alchimie dopo il voto...». Da qui a dire che il Quirinale ponga ostaco­li ce ne passa. Anche perché se Napolitano ha una riserva in animo, è quella di assicu­rare al Paese una soluzione per la governa­bilità in caso di paralisi al Senato dopo il vo­to. In tal caso, Monti potrebbe tornare cru­ciale come tecnico 'super partes'. Ma il pun­to è che quando si parla di correttezza, di «moralità», Mario Monti salta sulla sedia a prescindere da chi ne parla e dai motivi per cui ne parla. Si rabbuia, non lo accetta. Co­me accaduto dopo le parole di Angelino Al­fano alla Camera: gli viene voglia di voltare le spalle e andarsene.
È una giornata che si dipana sul filo dell’as­surdo e dell’equivoco. Spuntano scenari co­me fiocchi di neve. Anche perché sul web, di prima mattina, viene innescata la bomba: «Monti non si candida e non dà l’endorse­ment a nessuno. Non vuole arrivare quarto dietro Bersani, Berlu­sconi e Grillo. E con questa melina sta 'perdendo' anche il Quirinale». Palazzo Chigi è tempestato di telefonate: «Non ha deciso, non-ha-­deciso, sono stanca di ripeterlo», alza la voce Betti Olivi, la storica portavoce del premier. È vero, Monti userà sino all’ultimo secondo di tempo per riflettere. Anzi, nemmeno do­mani potrebbe sciogliere le riserve, lascian­do alla portavoce il compito di fare una pre­messa ai cronisti: «Fate tutte le domande che volete, ma sull’impegno politico non ri­sponderà. Il professore sta ancora rifletten­do ». Di fatto, si tratterebbe di un rinvio del­la sua decisione a dopo Natale. E allora, la conferenza stampa di fine anno diverrebbe l’occasione per presentare 'solo' le riforme che ancora servono al Paese, appellandosi al senso di responsabilità di tutti i partiti e del­le componenti sociali. La decisione finale sul suo impegno diretto sarebbe poi conse­guenza delle risposte che gli arriveranno. La tensione però si taglia a fette.
Anche i part­ner del cantiere moderato aiutano poco il premier. L’asse Riccardi-Montezemolo si sente d’improvviso senza riferimenti, trape­la pure – non confermata – la tentazione di far saltare il contenitore della società civile. E l’Udc ondeggia tra nuove opportunità e paura. Opportunità, perché senza Monti i centristi potrebbero diventare l’unica offer­ta elettorale per i moderati non berlusco­niani. Paura, perché senza Monti è difficile superare lo scoglio del Senato. E non l’han­no aiutato, i suoi 'alleati', quando hanno i­niziato a «parlare in libertà» - lamentano a Palazzo Chigi - di liste e candidati. Monti ha letto con sbigottimento di nomi della Prima e della Seconda Repubblica associati al suo progetto. E non l’ha nascosto, chiedendo con voce forte una lista unica con volti nuovi e puliti e pochissimi politici 'presentabili' scelti da lui. Eppure quanto accaduto nei giorni scorsi non è stato cancellato con un colpo di spu­gna. Le rassicurazioni sul suo impegno ad Angela Merkel, la presenza al Ppe, il vertice con Casini, Cesa, Riccardi e Montezemolo a Palazzo Chigi. È che serve altro tempo per ri­flettere. E magari per preparare una sorpre­sa. Perché nella giornata degli umori varia­bili spunta pure un’altra ipotesi: che Monti abbia voluto allontanare ad arte attese ec­cessive, tirare un po’ la corda per costringe­re Casini, Riccardi e Montezemolo ad accet­tare le sue condizioni e trasformare la di­scesa in campo in un colpo di teatro dirom­pente.
Tra tanti dubbi e tanti scenari, è una sola la certezza che Monti ha voluto affidare ieri pomeriggio a uno dei suoi interlocu­tori: «In qualsiasi caso, farò solo ciò che più serve al Paese». E in serata anche Pa­lazzo Chigi placa ogni fuga in avanti o al­l’indietro. «Il presidente – dicono dal suo staff – non ha deciso proprio nulla. Siamo allo stesso punto di uno, due, tre giorni fa». Poi la correzione: «Anzi no, qualcosa è cambiato, ora si è dimesso. L’iter istitu­zionale si è correttamente concluso». Co­me a dire - ma ogni interpretazione rischia di infrangersi contro un muro - : la sua ve­ra riflessione inizia ora, con tutti gli affari parlamentari sbrigati. E l’esito non è scon­tato. Per nessuno.
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