sabato 14 agosto 2010
Scontata la pena, nessuno accoglie gli ex reclusi. Un terzo potrebbe lasciare gli Opg, ma per il dopo non ci sono strutture di accoglienza adeguate.
- Campania, rispunta la speranza
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Nicola potrebbe tornare in libertà in pochi giorni. Da tre anni il magistrato di sorveglianza ha dato il via libera alla sua dimissione dall’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Secondigliano eppure si trova ancora dietro le sbarre. «In attesa di trasferimento in una comunità terapeutica», si legge nel rapporto della delegazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia del Servizio sanitario nazionale che, il 22 luglio scorso, ha effettuato una visita a Secondigliano.In quelli che una volta si chiamavano “manicomi criminali” oggi vivono 1.452 persone (capienza regolamentare di 1.322 posti, ndr): uomini e donne accomunati dalla malattia mentale e dal fatto di aver commesso un reato. Ben 413 internati (399 maschi e 14 femmine) però potrebbero uscire in breve tempo se sul territorio ci fossero strutture in grado di accoglierli. Ma è proprio qui che si incontra la prima strettoia: «Non c’è posto nelle comunità, non ci sono risorse, non ci sono progetti», spiega Valeria Calevro, psichiatra e direttrice dell’Opg di Reggio Emilia. Una delle strutture più affollate d’Italia con 284 internati a fronte di una capienza regolamentare di 132 posti. «Da due anni abbiamo messo i letti a castello – aggiunge la direttrice – una situazione pericolosa per pazienti che assumono psicofarmaci».I reclusi di Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere (Mantova), Montelupo Fiorentino (Firenze), Aversa (Caserta), Napoli e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) sono persone che, pur avendo commesso reati, non vengono processate perché incapaci di intendere e di volere. Nei loro confronti viene invece disposta una misura di sicurezza che, nei casi più gravi, può arrivare all’internamento che si protrae fino a quando l’internato viene considerato pericoloso. Ma anche se l’internato non ha nessuno che possa prendersi cura di lui una volta uscito dall’Opg. In questo modo ai due, cinque o dieci anni decretati dal giudice, se ne sommano altri, dai sei mesi in su. Decine di persone si trovano in questa palude. A Montelupo, ad esempio, un internato su tre è in regime di proroga mentre l’Opg di Secondigliano detiene il record di “ergastoli bianchi”: il 40% dei detenuti è in regime di proroga. È il caso di Leonardo che, condannato a due anni di internamento, ne ha trascorsi ben 25 in Opg.Un meccanismo perverso, che si sta cercando di spezzare, attraverso l’accordo siglato il 26 novembre 2009 in sede di Conferenza Stato-Regioni: entro la fine del 2010 «le Regioni si impegnano a raggiungere l’obiettivo di circa 300 dimissioni». L’applicazione, però, risulta complessa: il compito di gestire gli internati dimessi dagli Opg spetta ai dipartimenti di salute mentale e le Regioni se li “rimpallano”. La prima tappa dell’attuazione della legge prevede che all’interno di ogni Opg restino solo gli internati di un determinato "bacino". A Reggio Emilia, ad esempio, dovrebbe restare solo chi proviene da Triveneto, Trentino, Emilia Romagna e Marche. Mentre Castiglione delle Stiviere dovrebbe accogliere (oltre alle donne provenienti da tutto il Nord) gli uomini provenienti da Piemonte, Lombardia e Valle d’Aosta. Eppure, ad aprile 2010, nell’Opg di Reggio Emilia erano presenti 106 internati lombardi che, in buon numero, potrebbero essere presi in carico dalla loro Asl. «Ma è un braccio di ferro –commenta Valeria Calevro -. Inoltre, da gennaio, avrebbero dovuto cessare gli ingressi di pazienti extra-bacino. E invece non è così».
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