lunedì 25 marzo 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
​Lo dicono le mura alte, i cancelli e le grate a tutte le finestre: da qui è difficile uscire. Più delle barriere fisiche è il meccanismo giuridico, farraginoso e fuori dal tempo, a impedire alla libertà di prendere il volo. Puoi volare, ma non sai quando. Ieri uno dei 156 internati dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa "Filippo Saporito", giovane, non più di quarant’anni, con la barba e la voce strascicata e petulante, ripeteva: «Quando mi fate uscire? Quando mi fate uscire?», poi ha cominciato ad alzare la voce. Hanno gridato anche le guardie e lui si è calmato. Il fatto è che non lo sa nessuno quando uscirà. Potrebbe restare ad Aversa per tutta la vita. C’è un uomo che è rinchiuso qui da 23 anni. Il codice penale è spicciolo e dispensa limbi di attesa e di sbarre: 2, 5 o 10 anni a seconda del reato commesso. Allo scadere del tempo se ne riparla. Ma se il recluso è ritenuto ancora pericoloso, la pena che non è pena e la cura che non è cura saranno prorogate per tanti anni ancora. E sempre ieri un altro recluso la libertà ha finito di assaporarla. Gli era stata riconosciuta dopo anni la "licenza finale di esperimento". La dizione dice tutto: l’affidamento a una comunità serve per appurare se davvero è in grado di muoversi libero tra la gente. È un esperimento. Dalla comunità si è però assentato. Al giudice ha detto che voleva andare a prendere un caffè. Lui non gli ha creduto e lo ha rispedito nell’ospedale, nello stesso reparto, nella stessa cella dal pavimento appiccicoso per il grasso accumulato. Esperimento fallito.Quando è venuta qui, meno di un anno fa, la nuova direttrice, Elisabetta Palmieri, ha avuto in eredità una storia triste e spaventosa: una sfilza di suicidi e un paio di procedimenti in corso contro due guardie accusate (furono anche arrestate) di aver costretto un transessuale ad avere rapporti sessuali, e contro altre persone per aver fatto uso di letti di contenzione. Nel 2008 la Commissione europea per i diritti dell’ammalato in visita ad Aversa fece anche il conto di questi strumenti di vera tortura. Il battesimo all’opg della direttrice Palmieri fu la morte di un recluso. Il suo compagno di cella gli diede fuoco con la bomboletta di un fornellino da campo. Da allora - decisione drastica - soltanto fornelli elettrici che possono essere utilizzati due ore al giorno. «La vigilanza - dice la direttrice - è massima. Me ne occupo personalmente, con continui controlli e ripetuti colloqui con i reclusi, così da prevenire azioni violente anche contro sé stessi». Il suicidio, appunto: «Non sono medico - dice - e non posso affermarlo con certezza, ma spesso la volontà suicida si matura in momenti di lucidità. Ad ogni modo, quale sia la molla, abbiamo formato un’equipe di prevenzione dei suicidi presente in ogni reparto con uno psicologo, uno psichiatra e un funzionario giuridico-pedagogico».Le iniziative per dare un senso a una vita dietro le sbarre di ferro e dell’insanità mentale non mancano. Ci sono quelle dette in perfetto burocratichese "trattamentali": teatro, ippoterapia e art brut che si aggiungono ai corsi finanziati dall’Asl, i cosiddetti progetti terapeutici individualizzati. Mario, uno degli internati più anziani, è intento a colorare vasi fatti di cartapesta. È davvero bravo. «Il fatto stesso di portarli qui, fuori dal reparto - dice Angelo Russo, uno dei funzionari giuridico-terapeutico - è segno di una evoluzione». Indica Mario assorto a decorare un portamatite: «Quando si avverte la necessità di aprirsi, pur in una struttura chiusa, è segno dell’inizio di un percorso gradualizzato verso l’esterno».La gran parte degli internati, spiega il responsabile sanitario, lo psichiatra Raffaello Liardo, è qui perché denunciata dalla famiglia per maltrattamenti: violenze che nascono da una sofferenza mentale. «Questo significa - dice Liardo - che anche quando viene meno la loro pericolosità e potrebbero uscire non hanno la famiglia disposta ad accoglierli, sicché con la carenza di strutture alternative, la libertà si allontana».Aversa, come gli altri cinque opg italiani chiuderà, - secondo la proroga - a fine aprile del 2014. Il primo termine, il 31 di questo mese, si è rivelato impossibile da rispettare perché le Regioni, chiamate ad offrire strutture alternative, non hanno mantenuto gli impegni. Negli opg destinati a scomparire, però, continuano ad arrivare ammalati, perché le norme del codice che dispongono l’internamento restano le stesse. Ad Aversa sono arrivati negli ultimi mesi anche pazienti di altre regioni, dalla Puglia e addirittura dalla Sicilia, per il sequestro dell’opg di Barcellona Pozzo di Gotto, con un disagio soprattutto per i familiari che per le visite sono costretti a lunghi viaggi. Quest’anno in più dà un po’ di respiro a tutti. «È  difficile operare - dice la direttrice Palmieri - in una situazione di incertezza. Nemmeno noi sappiamo che succederà domani». Cosa succederà domani ai Mario o ad Antonio che in questo luogo da dove è difficile uscire ha fatto entrare la poesia. Ci regala un suo verso: «La vita è un battito di cuore e un pensiero nella mente». Fa quasi il paio con la contessa Bellentani alla quale fu concesso di tenere qui un pianoforte e la sera scioglieva i nodi della sua follia nei notturni di Chopin.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: