giovedì 6 agosto 2020
I carabinieri hanno così potuto risolvere il giallo di una giovane donna rumena scomparsa 5 anni fa. L'uomo l'aveva uccisa e gettata in un dirupo del Monte Pellegrino
Palermo, Monte Pellegrino

Palermo, Monte Pellegrino - Creative Commons Wikipedia

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Ha raccontato ai carabinieri di non riuscire più a dormire la notte per i sensi di colpa, di vivere in un inferno e di essere stato convinto da un prete a confessare il delitto orrendo di cui sarebbe responsabile. Damiano Torrente, pescatore palermitano di 47 anni, ha permesso ieri di recuperare i resti del cadavere di una donna rumena, autoaccusandosi dell'omicidio avvenuto cinque anni fa.

I vigili del fuoco e i carabinieri hanno trovato quelle ossa appartenenti a Ruxandra Vesco, 30 anni, dentro a un sacco, in un dirupo di Monte Pellegrino, proprio dove l'uomo aveva indicato. Un delitto ancora tutto da decifrare, commesso, sembrerebbe, per motivi passionali, perché Torrente avrebbe temuto che la presenza della donna, conosciuta per caso dopo che lei aveva lasciato marito e figlia e con cui aveva intrecciato una relazione, potesse minacciare il suo matrimonio.

Ma in questa vicenda si parla anche di un giro di prostituzione e di prestiti a usura. Il piano omicida, però, sarebbe scattato il giorno in cui la giovane rumena si presentò a casa del pescatore con una valigia. Il rischio di essere scoperti dalla moglie sarebbe stato troppo alto e l'uomo avrebbe deciso di sbarazzarsi della giovane, strangolandola e occultandone il cadavere. Adesso il ravvedimento.

“È stata una scelta maturata dopo un percorso di conversione - sottolinea l'avvocato Alessandro Musso - È una vicenda che ha scosso tutti. Ancora ci sono diversi aspetti da chiarire e verificare. Il mio assistito era uscito dal carcere a marzo. Era accusato di stalking. Poi un periodo ai domiciliari e il costante avvicinamento alla fede lo hanno portato alla decisione di confessare il delitto”.

Un percorso interiore che viene confermato dal sacerdote che, nell'ultimo mese e mezzo, è riuscito a convincerlo a raccontare tutto ai carabinieri. Don Giovanni Cassata, con la stola viola sulle spalle, non ha fatto altro che accogliere il colpevole, il peccatore, e convincerlo a percorrere la strada del sincero ravvedimento, anche a costo di perdere la libertà personale, di finire in carcere, pur di ottenere il perdono.

Circa un mese e mezzo fa, Torrente si è presentato nella parrocchia di Nostra Signora della Consolazione, vicino al porto. Desiderava parlare con un sacerdote, voleva chiedere perdono per le sue terribili azioni. “All'inizio pensavo fosse un mistificatore, ma poi sono rimasto molto colpito dalla costanza con cui veniva da me – racconta il parroco, che è anche delegato arcivescovile per le Confraternite della diocesi di Palermo – Non ho potuto fare altro che accoglierlo con estrema carità, dicendogli di confidare nella misericordia di Dio, ma anche di cercare di riparare al male commesso. E non c'era altro modo di riparare, se non confessare tutto alle forze dell'ordine e permettere di ritrovare il corpo”.

In 28 anni di sacerdozio non aveva mai ricevuto una confessione simile: racconti drammatici sì, aborti, che sono anch'essi omicidi, ma mai un delitto così efferato. Non può rivelare i dettagli dei loro frequenti colloqui, coperti dal segreto della Confessione, ma racconta di un uomo disperato per ritrovarsi “in una situazione infernale, non paragonabile al carcere”.

“L'ho trovato molto pentito e aperto alla grazia” aggiunge padre Cassata. “Mi ero offerto di accompagnarlo dai carabinieri, ma lui ha preferito andare da solo. Lo seguirò in questo suo percorso di conversione, non lo lascerò, gliel'ho promesso” assicura il sacerdote.

Una storia che testimonia anche il ruolo che i sacerdoti possono avere in un reale e visibile cambiamento di vita anche di chi si è macchiato di azioni delittuose, anche di chi è mafioso. Lo dice a chiare lettere il documento dei vescovi siciliani “Convertitevi!”, pubblicato a 25 anni dal grido di condanna di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi.“Il Signore è misericordia e opera meraviglie nelle nostre miserie” dice il documento “può e deve valere anche per i mafiosi”, se ci si pente e si cambia vita. “Una conversione sincera, sperimentata in prima persona e in intima relazione con il Signore – aggiunge - Ma non intimistica, bensì vissuta secondo le regole penitenziali della Chiesa e i cui frutti di vita nuova siano inequivocabilmente percepibili e pubblicamente visibili”.




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