giovedì 15 febbraio 2018
I ricercatori di Pisa studiano 21 anni di coltivazioni in tutto il mondo: maggiore produttività, minori sostanze tossiche. Ma gli italiani sono scettici: 7 su 10 considerano gli Ogm meno sicuri
Una foto dall'archivio Ansa di una coltivazione di mais Ogm nel Pinerolese

Una foto dall'archivio Ansa di una coltivazione di mais Ogm nel Pinerolese

COMMENTA E CONDIVIDI

La coltivazione di mais transgenico presenta produzioni superiori, contribuisce a ridurre la presenza di insetti dannosi e contiene percentuali inferiori di sostanze tossiche che contaminano gli alimenti e i mangimi animali. La conferma arriva da uno studio condotto da ricercatori italiani della Scuola Superiore Sant'Anna e dell'Università di Pisa, con il coordinamento di Laura Ercoli, docente di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna, che hanno pubblicato su Scientific Reports un'indagine sugli effetti della coltivazione di mais transgenico, prendendo in considerazione 21 anni di coltivazione mondiale, tra il 1996 - anno di inizio della coltivazione del mais transgenico - e il 2016. Non soltanto: per la prima volta lo studio dimostra, dati statistici e matematici alla mano, che il mais transgenico non comporta rischi per la salute umana, animale e ambientale.

LA RICERCA

Mais transgenico più produttivo

Lo studio raccoglie i risultati di ricerche condotte in pieno campo negli Stati Uniti, in Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia, e paragona le varietà transgeniche con le parentali non transgeniche. Dimostra, in maniera decisa, che il mais transgenico è notevolmente più produttivo (5,6-24,5%), non ha effetto sugli organismi non-target (cioè non bersagli della modificazione genetica), tranne la naturale diminuzione del "Braconide parassitoide" dell`insetto dannoso target "Ostrinia nubilalis" e contiene concentrazioni minori di micotossine (-28,8%) e fumonisine (-30,6%) nella granella, ovvero nei chicchi del mais.

Lo studio applica tecniche matematico-statistiche di meta-analisi su risultati provenienti da studi indipendenti, per trarre conclusioni più forti rispetto a quelle ottenute da ogni singolo studio. La meta-analisi si è basata su 11.699 osservazioni che riguardano le produzioni, la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l'effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di CO2 dal suolo.

La Corte europea di Giustizia di recente aveva sentenziato che, a meno di una "evidenza significativa" sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale portato dalla coltivazione di piante geneticamente modificate, gli Stati membri non possono adottare misure d`emergenza per proibirne l'uso. Lo studio dimostra che, dopo 21 anni di coltivazione del mais transgenico in tutto il mondo, non esiste alcuna "evidenza significativa" di rischi alla saluta umana, animale o ambientale. Al contrario, i dati della meta-analisi indicano con chiarezza la diminuzione delle micotossine e fumonisine, sostanze contaminanti contenute negli alimenti e nei mangimi e responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica.

La diminuzione di tali sostanze nella granella del mais transgenico, impiegata in alimenti per l`uomo e per gli animali, può avere effetti molto significativi per la salute umana. Gli autori (Elisa Pellegrino, Stefano Bedini, Marco Nuti, Laura Ercoli) sottolineano che lo studio ha riguardato esclusivamente l'elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l'interpretazione "politica" dei medesimi e ritengono che "questa analisi fornisca una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente", sintesi che "permette di trarre conclusioni univoche aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate".

Ma gli italiani sono diffidenti

Gli italiani comunque restano diffidenti: quasi 7 cittadini su 10 (69 per cento) considerano gli alimenti con organismi geneticamente modificati (Ogm) meno salutari di quelli tradizionali mentre l'81% non mangerebbe mai carne e latte proveniente da animali clonati o modificati geneticamente. È quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixè.

In diminuzione la superficie coltivata a transgenico

Quanto alla superficie coltivata a transgenico in Europa, essa è in diminuzione: nel 2017 è pari ad appena 130.571 ettari rispetto ai 136.338 dell'anno precedente, con le colture biotech che sopravvivono nell'Unione Europea solo in Spagna e Portogallo, dove tuttavia si registra una riduzione delle semine del mais MON810, l'unico coltivato. Anche Repubblica Ceca e Slovacchia - continua Coldiretti - hanno infatti abbandonato la coltivazione e si sono aggiunte alla lunga lista di Paesi "Ogm free" dell'Unione Europea. Le scelte degli agricoltori europei sono la dimostrazione concreta - evidenzia la Coldiretti - della mancanza di convenienza nella coltivazione Ogm nonostante le proprietà miracolistiche propagandate dalle multinazionali che ne detengono i diritti.

"Per l'Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del Made in Italy" ha affermato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo.

Cnr: conferma di ciò che la ricerca sostiene da anni

I nuovi dati sul mais ogm sono una conferma importante di quanto il mondo della ricerca sosteneva da anni: così Aldo Ceriotti, direttore dell'Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Cnr (Ibba-Cnr), commenta lo studio italiano. "Il mais transgenico esce decisamente vincitore dal confronto con quello non modificato", ha detto Ceriotti all'Ansa. La ricerca, ha aggiunto, ha confermato quanto si sapeva da tempo, ovvero che il mais geneticamente modificato non pone nessun rischio per la salute umana, animale e ambientale. Anzi, aggiunge, "l'analisi conferma che il mais geneticamente modificato è più produttivo e al tempo stesso ha un contenuto più basso di tossine. La loro presenza è un problema molto serio, e la loro riduzione nel mais ogm costituisce un indubbio vantaggio per la salute". L'esperto rileva inoltre che "il lavoro ha il pregio di raccogliere solo le informazioni pubblicate nelle riviste scientifiche dove gli articoli devono essere preventivamente esaminati da alcuni esperti del settore, prima di essere accettati. Questo in generale aumenta il livello di affidabilità dei dati pubblicati. Lo studio - conclude Ceriotti - ha inoltre utilizzato criteri molto stringenti per selezionare ulteriormente gli articoli da cui estrarre i dati. Ne esce quindi un quadro che riassume le migliori evidenze scientifiche oggi disponibili".

In Italia non ci sono coltivazioni di piante ogm

L'Italia è uno dei diciassette Paesi Ue che ha scelto di non coltivare piante ogm sul proprio territorio. Lo consente una direttiva del 2015. L'unica pianta transgenica che ha licenza di essere coltivata in Europa, un mais resistente alla piralide, resta confinato in cinque Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania). Buona parte dell'Ue, insomma, dice no al transgenico. Ma importa quantitativi generosi di materie prime gm: secondo la Commissione europea, qualcosa come 30 milioni di tonnellate
l'anno di soia e tra 0,5 e 3 milioni di tonnellate di mais, fondamentali per gli allevamenti del continente. Nel 2016 l'Italia da sola ha importato 1,3 milioni di tonnellate di semi e circa 2 milioni di tonnellate di panelli di soia, principalmente dalle Americhe, dove l'80-90 per cento della soia è gm. Secondo le stime di Assalzoo, l'associazione nazionale dell'industria mangimistica italiana, l'85% della soia utilizzata nelle filiere italiane è transgenica e ormai da anni l'Italia è diventata deficitaria anche nel mais.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: