mercoledì 3 febbraio 2010
Dopo la pronuncia del Consiglio di Stato che ha dato via libera al mais geneticamente modificato, gli agricoltori che sostengono le nuove coltivazioni hanno spiegato le strategie per il futuro.
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Da una parte gli imprenditori agricoli che hanno fatto ricorso per poter utilizzare sementi geneticamente modificate; dall’altra il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia, con altre associazioni, che intende opporsi a quello che, dopo la sentenza del Consiglio di Stato, sembra ormai inevitabile: la coltivazione di mais geneticamente modificato in Italia, in accordo con la legislazione europea. Ieri a Milano i rappresentanti dell’associazione FuturAgra hanno ribadito la propria soddisfazione per la sentenza del Consiglio di Stato che obbliga il ministero a concedere l’autorizzazione alla coltivazione del mais Bt Mon810 della Monsanto (un mais geneticamente modificato per resistere alla piralide, un parassita molto diffuso nel Nord Italia, e già autorizzato nel catalogo europeo delle sementi) e, avendo trasmesso al ministero la sentenza, hanno iniziato il conto alla rovescia verso le semine. Il tutto anche prima che le Regioni abbiano predisposto i piani di coesistenza tra coltura transgeniche, tradizionali e biologiche. «Non ci sono più scuse per bloccare l’esercizio di un diritto che mi è stato riconosciuto dal più alto organo della giustizia amministrativa del nostro Paese – ha detto Silvano Dalla Libera, agricoltore di Pordenone che ha vinto il ricorso e vicepresidente di FuturAgra – insieme a me ci sono già decine di agricoltori che in questi giorni mi hanno espresso la loro solidarietà e la loro ferma intenzione di seminare in aprile». «Si tratta di una questione di libertà di impresa – aggiunge il collega Giorgio Fidenato, segretario di FuturAgra –. E non siamo “fanatici” degli Ogm, ma vogliamo essere liberi di sperimentare se il mais Bt ci può essere utile». Secondo alcuni la risposta è scontata. Spiega infatti Roberto Defez, ricercatore dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli: «La resa del raccolto è maggiore se il mais è geneticamente modificato per resistere alla piralide (11,1 tonnellate per ettaro contro 15,9), ma soprattutto si riduce drasticamente la presenza delle fumonisine, pericolose tossine prodotte dai funghi che si insediano nelle “gallerie” che la piralide scava nella pianta. Queste tossine hanno un ruolo nella formazione dei tumori dell’esofago e nel mancato assorbimento dei folati, la cui carenza in gravidanza può causare al neonato la spina bifida». Gli agricoltori di FuturAgra non sono soli. Federico Vecchioni (presidente di Confagricoltura) lamenta un paradosso italiano: derivati di mais e soia transgenici vengono importati e utilizzati, ma ai produttori italiani non è permesso accedere a tali innovazioni. Il presidente di Assobiotec (associazione delle imprese biotecnologiche) Roberto Gradnik aggiunge: «Il ministero dell’Agricoltura non ha più alcun pretesto per continuare a fare del male al nostro Paese portando avanti una politica anti-Ogm, frutto di un pregiudizio ideologico che nuoce al sistema produttivo agricolo». Ma il ministro Luca Zaia la pensa diversamente: «Lavoreremo per garantire il diritto dei consumatori ad avere cibi Ogm-free e quello degli agricoltori di continuare a produrre agricoltura di qualità. Faremo tutto il possibile nell’ambito di ciò che la legge consente». A incoraggiare il ministro scende in campo Coldiretti, che plaude a un emendamento al decreto milleproroghe che blocchi l’avvio di coltivazioni di Ogm senza i piani di coesistenza predisposti dalle Regioni e arriva a prefigurare – ha detto ieri il presidente Sergio Marini – il ricorso alle «forze dell’ordine» se «si tenterà di seminare Ogm in assenza della necessaria autorizzazione».
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