martedì 12 luglio 2016
Ancora 3,1 milioni di bambini nel mondo muoiono per denutrizione. Save the children: traguardo possibile, ora azioni concrete e fondi.
L'obiettivo fame zero è lontano
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Ogni minuto ne muoiono sei. E quando arrivano a compiere un anno, a volte pesano come un neonato. Però non per colpa della dieta vegana a cui li costringono i genitori. Ma a portarli al limite della sopravvivenza è il contesto in cui vivono, tra lo sconforto dei genitori impotenti di fronte ad un’alimentazione minimal. Perché vittime della fame sono per primi loro quando li hanno messi al mondo. Il punto centrale, infatti, sono le porzioni ineguali che bambini e adulti in diverse parti del mondo hanno a disposizione. Ed è così che la bilancia della malnutrizione torna a pendere soprattutto verso l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale, dove vivono la maggior parte (80%) dei 3,1 milioni di bambini che perdono la vita per la mancanza di cibo e i 159 milioni di minori colpiti da malnutrizione cronica. Tuttavia non ci si può consolare vedendo che dal 1990 il numero dei minori affamati si sia ridotto di un terzo, perché la «combinazione letale» di povertà ed esclusione sociale continuano a negare a una buona fetta di piccoli nel mondo «il diritto a una vita sana e una dieta equilibrata». A lanciare l’allarme èSave the children, ieri durante la presentazione a Roma del rapporto Porzioni ingiuste. Porre fine alla malnutrizione dei bambini più vulnerabili.Progressi troppo timidi, insomma. Gli obiettivi globali in tema di nutrizione – come la riduzione dei casi di fame cronica del 40% entro il 2025 e lo sradicamento totale della malnutrizione entro il 2030 – sono quindi ben lontani dall’essere raggiunti. Parlano le proiezioni: solo 39 Paesi su 114 analizzati arriveranno al risultato nei tempi e di questi appena sei sono a basso reddito. Quel che è certo, al contrario, è che se il trend continua con lo stesso passo tra quindici anni invece di mettere la parola fine alla fame, nel mondo si avranno ancora 129 milioni di bambini malnutriti, per lo più nei Paesi a basso reddito, che diventeranno 24 milioni tra cento anni. La parola d’ordine perciò resta fare in fretta, con obiettivi nazionali sulla nutrizione, con politiche appropriate per non lasciare dietro nessuno ovunque, con piani in cui ogni na- zione spieghi cosa farà per raggiungerli e investa risorse finanziare adeguate. Oggi dei 29 maggiori donatori di fondi per progetti di assistenza ai Paesi in via di sviluppo, 6 non spendono niente per misure legate alla nutrizione, 6 impiegano meno di un milione di dollari l’anno. E il divario tra budget necessario e disponibile è di 10 miliardi di dollari. Mai come ora, è così il punto fermo del vicedirettore generale Save the children ItaliaDaniela Fatarella, continuare a combattere la malnutrizione è «un bisogno reale ed urgente », ancor più perché i progressi raggiunti dimostrano che l’obiettivo fame zero è «possibile», se si distribuiscono i traguardi alimentari «equamente». Ecco perché occorre passare all’azione trasformando un imperativo morale in politiche concrete, sfruttando la futura presidenza italiana del G7, anche per mantenere l’impegno preso dai sette grandi del mondo l’anno scorso ad Elmau di far uscire dalla malnutrizione 500 milioni di persone. E prontamente è arrivata la risposta. Gli sforzi del governo nell’anno di presidenza saranno orientati, accanto al tema migranti e innovazione, «a implementare l’agenda che prevede il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile», anticipa Alessandro Motta dell’ufficio del consigliere diplomatico di Matteo Renzi, e dando seguito a Expo e Carta di Milano, «saranno prioritari i temi della nutrizione, sicurezza alimentare, donne e salute».Nascere dalla parte giusta del mondo o solo nel territorio giusto, infatti, determina sia l’accesso dei più piccoli a cure e cibo – i minori che vivono in aree rurali hanno l’1,37 probabilità in più di essere malnutriti rispetto a chi vive in città – sia educazione e prassi culturali. Come pure chi vive in famiglie povere ha una probabilità doppia di morire prima del quinto compleanno, rispetto a chi nasce in una famiglia benestante. In 44 Paesi in via di sviluppo il 30% dei bambini soffre la fame, una percentuale che sale al 50% in Burundi, Eritrea e Timor est. In tredici Stati poi – in testa Madagascar e Malawi, Siria, Sudan – la situazione alimentare dei minori è addirittura peggiorata dal 2000. Questo al netto dei cambiamenti climatici e dei conflitti in corso che costringono milioni di persone ad abbandonare le loro case e, dunque, a non mangiare per giorni. Nutrizione e sicurezza alimentare perciò debbono andare a braccetto, questo vuol dire sviluppo sostenibile. Aumentare la produzione di cibo va bene, ricorda Laura Frigenti, direttrice dell’Agenzia italiana per la cooperazione internazionale, «ma parallelamente bisognerebbe occuparsi di più dello spreco del cibo», legando le politiche agli interventi sul campo e alle comunità, «affinché si rivelino realmente efficaci».
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