giovedì 1 dicembre 2016
I matrimoni erano stati contratti all'estero e l'ufficio anagrafe di Udine e di Milano le avevano trascritte. I prefetti annullarono la trascrizione. I giudici: illegittimo «per incompetenza»
Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato

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Non potevano, i Prefetti, annullare le trascrizioni fatte dai sindaci delle nozze gay contratte all’estero, Nemmeno su mandato del ministero dell’Interno, come avvenne nel 2014 con il braccio di ferro tra i primi cittadini e Alfano, visto che «sulla legittimità degli atti emessi dai sindaci quali ufficiali di stato civile solo il Consiglio dei ministri» può esprimersi. Il Consiglio di Stato è tornato a occuparsi della vicenda, a due anni di distanza da quella stagione di “tensioni”. Con in mezzo una sentenza esattamente opposta (pronunciata sempre dal Consiglio di Stato, l’8 ottobre 2015) e l’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili, che anche sulle trascrizioni prevede un allineamento alla normativa italiana.

Nel 2014, si ricorderà, alcuni Comuni avevano tentato una fuga in avanti in tema di diritti per le coppie omosessuali: Bologna, Napoli, Grosseto, Empoli, Udine e Milano. In particolare l’allora sindaco del capoluogo lombardo, Giuliano Pisapia, aveva trascritto in blocco 13 “matrimoni”. Di lì la reazione del titolare del Viminale, che con una circolare aveva ordinato a tutti i prefetti di annullare gli atti. La posizione di Alfano era già stata contestata davanti al Tar della Lombardia, che a settembre 2015 aveva dato ragione a una coppia e statuito che i prefetti non avevano il potere di annullare gli atti dei sindaci, in quel caso però «perché soltanto l’autorità giudiziaria ordinaria ha il potere di rettificare o annullare gli atti, anche nel caso siano indebitamente trascritti».

Poi, appena qualche giorno dopo, a chiudere – apparentemente – la spinosa questione era intervenuto proprio il Consiglio di Stato statuendo che «la differenza di sesso tra i nubendi è una connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio». Ne derivava, di conseguenza, che nessun sindaco potesse trascrivere – cioè dar loro validità anche in Italia – nozze tra persone dello stesso sesso celebrate all’estero visto che «i presupposti di legalità del matrimonio» sono quelli regolati «dalla legge nazionale di ciascun nubendo» e «prima condizione di validità ed efficacia» per l’Italia è proprio «la diversità di sesso».

Di più, nella stessa sentenza i giudici amministrativi avevano spiegato perché i prefetti potevano e dovevano annullare questo tipo di riconoscimenti, nonostante le vertenze relative allo stato civile siano per legge compito dei tribunali ordinari: «Tra le materie affidate alla cura del sindaco quale ufficiale di Governo – si leggeva nella sentenza – è compresa anche la tenuta dei registri di stato civile». Dunque per queste funzioni il primo cittadino «resta soggetto alle istruzioni impartite dal ministero dell’Interno».

Ora due sentenze in senso esattamente opposto, pronunciate dalla Terza sezione dello stesso organismo: «Sono illegittimi, per incompetenza, i decreti dei prefetti che nel 2014 hanno annullato gli atti con cui i sindaci di Milano e di Udine avevano trascritto nei registri dello stato civile tredici matrimoni contratti all’estero da persone dello stesso sesso», perché della vicenda ha titolo di occuparsi, secondo il Consiglio di Stato, soltanto il Consiglio dei ministri. La sezione, «per ragioni di carattere processuale», non si è invece occupata della questione «se i sindaci possano o meno disporre la trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni contratti all’estero da persone dello stesso sesso». Anche questo, un punto su cui la sentenza precedente sembrava aver fatto chiarezza.

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