domenica 4 marzo 2012
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Una mattina feriale, in un paese brianzolo. La chiesa, l’edico­la, il caffè; la domestica consuetudine dei passanti che si sa­lutano brevemente, senza fermarsi. Il bar tabacchi è un vecchio negozio, dietro al banco facce cordiali. Sul muro, alla cassa, una Madonna e un rosario; segni di una appartenenza, che qui, nel­la pianura che sale verso Lecco, rimane, almeno nella generazio­ne dei padri. (Gente operosa, devota, quasi, al culto del lavoro; villette dai giardini ben curati dove si consumano meritate pen­sioni). Ma al tabacchi, stamane, un grande andirivieni di clienti – e non vogliono sigarette, né il caffè: puntano dritti al banco del­le lotterie. Una piccola processione di anziani e casalinghe: brandiscono u­na schedina appena compilata. Giocano all’enalotto e a 'Win for life'; un cartello annuncia un montepremi, oggi, di 69 milioni di euro. Di un certo gioco c’è una estrazione ogni pochi minuti: pas­sano su uno schermo i numeri sorteggiati, sempre nuovi. Gli oc­chi di tutti fissi su quella giostra, ansiosi. È più eccitante, un gio­co veloce; sembrano dinosaurici i tempi in cui si conservava nel portafogli, ben piegato, il biglietto fino al giorno della lotteria del­la Befana. Ti colpisce però che i giocatori sono quasi tutti ben oltre i sessanta; sono le nonne che potresti vedere in chiesa, i pensionati ben ve­stiti che abitano in dignitose case, tra aiuole curate. Gente che ha lavorato e cresciuto figli per tutta la vita. E ora come mai questa contagiosa ebbrezza, quest’ansia di un colpo di fortuna che ti porti una cifra stratosferica? Sorridono, certo, nel porgere al tabaccaio le schede compilate, co­me di un gioco in cui nemmeno loro credono; però, riprovano; però, il giorno dopo ritornano. È solo un gioco, si fa senza spe­rarci nemmeno; però, ogni volta ti pare di essere stato a un pas­so dal vincere; però, ogni volta riprovi. Cosa se ne farà, un uomo con i capelli bianchi, di una rendita da 20 mila euro al mese per vent’anni? Che farebbe, con 69 milioni di euro in mano? Non è gente, questa, che sogna paradisi tropi­cali. Cosa, allora? All’edicola vicina, lo strillo di un giornale loca­le annuncia: «È fallita anche la pellicceria taldeitali». Laconico bollettino di guerra, in questa Brianza disseminata di laboratori artigiani. La crisi, certo. Un figlio da aiutare a pagare il mutuo, un fratello che non fa fronte ai creditori; la casa, da comprare al nipote, che finalmente si sposi. Forse sono sogni buoni, quelli che spingono la processione al banco dei giochi. Ma vedi bene come sulla crisi l’illusione del gioco attecchisca come un parassita, che apparen­temente si contenta di poco. Cinque euro al giorno, poi dieci. Al massimo, venti. Fanno seicento al mese – ma è "solo un gioco". E la piccola coda nel bar tabacchi dietro alla chiesa, con il rosa­rio appeso dietro la cassa, immalinconisce – come se sapessi che una persona cara ogni tanto, solo ogni tanto, quando è sola, si fa un bicchiere. Gente che tutta la vita ha faticato, e la casa se la è fatta mattone su mattone; confidando nelle proprie mani, e in un Dio grande, su questa pianura lombarda da secoli insediato. A­desso che cosa insegue qualcuno, gli occhi fissi sullo schermo dei numeri sorteggiati? Perché in fondo occorre chiedersi, in che co­sa si spera davvero. Se nella fatica di ogni giorno, e in un Dio che c’entra con noi, e ci conosce ciascuno, e nel suo misterioso ma buono disegno; o nella Fortuna, nel Caso, che è cieco, e colpisce oppure manca, sideralmente indifferente alla sorte di ognuno. Perché in fondo occorre chiedersi, mentre si riempie un’altra scheda e i numeri girano di nuovo sullo schermo, inafferrabili, gio­stra cieca, in che cosa si crede, e a chi ci si affida. Se a un Dio lon­tano, un Dio della domenica e delle feste comandate, o a Cristo che è 'tutto in tutti', come disse Paolo; e che c’entra, anche con ogni nostro distratto respiro.
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