mercoledì 14 novembre 2012
Imu: il Consiglio di Stato "boccia" il testo del governo, sposando le tesi più radicali della Ue. Se venisse accolto nella sua sostanza, il parere dei giudici reso noto ieri sera avrebbe conseguenze gravissime per tutto il Terzo settore e per il welfare sussidiario in Italia​.
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Un colpo inatteso e pesante: questo è il parere del Consiglio di Stato – Sezione consultiva per gli atti normativi – della riunione dell’8 novembre scorso, reso noto ieri sera. Sfrondato dai ghirigori del linguaggio giuridico e burocratico, il parere dice: tutti paghino l’Imu, se svolgono una qualche attività che la Ue cataloga come «economica», anche se l’attività stessa è di natura socio-assistenziale e senza fini di lucro. Quindi potrebbe finire per pagare pure la mensa Caritas, che non ha finalità di lucro, ma svolge comunque «attività economica», anche se non si capisce a chi potrebbe fare «concorrenza sleale». Perché questo era il dubbio sollevato fin dal 2006 presso la Ue: le esenzioni Ici (oggi Imu) agli enti non commerciali che svolgono attività anche con modalità commerciali è forse concorrenza sleale a chi svolge attività uguali o analoghe for profit e, dunque, paga l’Ici (Imu)? Venendo incontro alle precedenti eccezioni mosse dal Consiglio di Stato, di genere essenzialmente formale, il governo aveva provveduto a varare una norma che riscriveva quanto prima contenuto in un semplice regolamento. E stavolta l’apposita Sezione ha approvato la forma ma messo in crisi principi cardine del testo governativo. Per i giudici del supremo tribunale amministrativo occorre inserire nel testo «il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario». A loro parere, «per chiarire la distinzione tra attività economiche e non economiche, la giurisprudenza ha costantemente affermato che qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato costituisce attività economica». Che questo si faccia senza fini di lucro sarebbe irrilevante. Perché enti "non commerciali", che svolgano attività assistenziale, sanitaria, didattica, ricettiva, culturale, ricreativa e sportiva, «possono, in taluni casi, trovarsi a svolgere attività economiche in concorrenza con analoghi servizi offerti da altri operatori economici». Per questo gli immobili in cui operano non possono essere esenti da Imu. Nessuno potrebbe salvarsi. E se, ad esempio, un’attività è svolta a titolo gratuito o dietro versamento di una retta «di importo simbolico», che non copra nemmeno le spese? Non ha alcuna importanza: «Tale criterio non sembra essere compatibile con il carattere non economico dell’attività». Quindi l’Imu andrebbe pagata comunque. Il parere è complesso e lungo, ma la sostanza appare chiara. Lo scollamento tra la posizione elaborata dal Governo e quella espressa dalla sezione del Consiglio di Stato che si è pronunciata è evidente e singolare. Sembra che in sede di giustizia amministrativa si vogliano far proprie le tesi più radicali nell’interpretazione del diritto della Ue, ignorando e penalizzano le peculiarità italiane, del nostro welfare sussidiario largamente basato sulle realtà non profit del Terzo Settore. Non riconoscendo una specificità disinteressata e di servizio sociale e sottoponendo a ulteriore tassazione «attività economiche» (sic) che non si sa a chi facciano «concorrenza sleale». Ma se parti importanti del Terzo Settore non riuscissero più a garantire i loro servizi, lo Stato in piena era di tagli alla spesa (e alla spesa sociale) sarebbe costretto a intervenire direttamente. Mortificate le iniziative della società civile, penalizzate le persone a cui garantiscono servizi, tendenzialmente aggravati i conti pubblici. Un bel risultato. La parola torna al Governo.
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