mercoledì 23 marzo 2016
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ROMA Antonio Tajani, vicepresidente del Parlamento europeo (per Fi-Ppe), è appena rientrato nell’ufficio dopo aver trascorso la mattinata a rafforzare le misure di protezione del palazzo sede dell’assemblea di cui è anche 'responsabile per la sicurezza'. Che giornata è questa per lei? È il giorno più brutto da quando sto a Bruxelles. Per questo dobbiamo reagire ora, subito. Ci si aspettava qualche 'mossa' da parte del terrorismo, siamo da tempo sotto attacco, è complicato girare in città. Mi faccia dire però come prima cosa che il Parlamento europeo è vicino alle famiglie delle vittime e ai feriti. È un attacco fortemente simbolico. Stavolta il messaggio è rivolto senza dubbio alle istituzioni europee. È accaduto quasi sotto i nostri occhi, alcuni feriti della metro sono stati soccorsi dai nostri vigili interni. Bruxelles è diventata oggi una capitale simbolo del terrorismo, dopo essere stata da sempre un crocevia dello spionaggio. Quali misure avete adottato? Il Parlamento continua a lavorare, resta aperto. Il nostro è un messaggio di fiducia: il terrorismo non impedirà alla democrazia di vivere e di lavorare. Abbiamo solo innalzato l’allerta da 'giallo' ad 'arancione'. Cosa comporta? Abbiamo annullato per 24 ore ogni riunione, per garantire la sicurezza e non intralciarla. Per il resto si tengono chiuse le porte, si aumentano i controlli su borse e bagagli, si riducono riunioni, si chiudono i garage. Come valuta il 'peso' di questo attacco? Mi auguro che sia un colpo di coda del terrorismo. Non vorrei che fosse invece un diversivo... In che senso? Nel senso che magari hanno buttato in pasto Salah Abdeslam, facendolo prendere venerdì scorso apposta per sviare l’attenzione mentre preparavano gli attentati di oggi (ieri per chi legge, ndr). Ci sono limiti nell’azione belga? C’è anche questo, sicuramente. Il Belgio sta pagando un prezzo alla sua presunta neutralità del passato davanti al terrorismo fondamentalista. Qui serve invece un’azione costante, 24 ore su 24. Le autorità belghe devono saper essere più dure, più organizzate. E rimuovere in fretta quei limiti, anche legislativi, che frenano un’efficace risposta. Lo sa che in Belgio i blitz di polizia sono vietati dopo le 11 di sera? È un altro il modo di combattere il terrorismo. Se si vogliono prendere, i terroristi si prendono. Proprio perché spesso è gente vissuta qui da noi. Lo stesso aeroporto di Bruxelles è sguarnito sul fronte della sicurezza. Ma l’Europa come può uscire da questo incubo? Solo con più dialogo fra le varie comunità, senza creare steccati, e con più lavoro di intelligence, che dev’essere molto più fitto e coordinato fra le varie realtà nazionali. E rafforzando la sua entità politica: non dimentichiamo che è da poco che l’Europa si è dotata di una vera politica estera autonoma. C’è un legame fra terrorismo e nuova immigrazione? C’è un rischio. Dalle terre di crisi si possono infiltrare non solo foreign fighters, ma anche chi viene qui perché vuole reclutare nuovi combattenti. Il rischio si supera però solo con controlli più fitti alle frontiere, senza chiuderle. E controlli molto rigorosi servono anche con chi vive qua. A Bruxelles ci sono quartieri molto pericolosi perché, essendo a maggioranza nordafricana o asiatica, è più facile anche per i terroristi muoversi e nascondersi, ti si nota meno facilmente.  Il solito Salvini chiede controlli «casa per casa».  Sono slogan senza senso. Che facciamo, i rastrellamenti dei nazisti? Forse Salvini ha visto troppo il film 'La battaglia di Algeri'... Senza contare che un’azione simile significa far incattivire la popolazione. Servono più intercettazioni e lavoro di controllo, non facili slogan.
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