giovedì 23 settembre 2010
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«È tutto vero: oggi il voto su Cosentino ha sancito la disfatta di Fini, oggi Futuro e libertà ha dimostrato di essere in buona parte con me, ma...». Silvio Berlusconi non riesce a sorridere. E, sottovoce, ammette: «Non vorrei che la nostra fosse una vittoria di Pirro». È uno sfogo amaro. Legato a una crescente consapevolezza: il momento della verità non sarà il 29 settembre, non sarà sul voto sui 5 punti programmatici; sarà, invece, nelle settimane che verranno quando dovrà dimostrare di poter governare nonostante lo strappo dell’ex capo di An. Sono ore di riflessione. Berlusconi ha chiare tutte le difficoltà. Sa che il Pdl ha perso 9 punti. Sa che il centrodestra senza l’apporto dei finiani sarebbe in minoranza in cinque commissioni (anche Esteri e Lavoro). E soprattutto sa che il presidente della Camera ha un unico vero obiettivo: logorarlo, riorganizzarsi e prepararsi a sferrare l’attacco finale. È un momento complicato e il premier non lo nasconde. «Lo scontro si sta radicalizzando, andare avanti sarà complicato», continua a ripete nelle telefonate più private. E, senza nessun entusiasmo, confessa: «Non possiamo non prepararci al voto. Non possiamo mettere in conto anche questa eventualità».Berlusconi non vuole la crisi. Non vuole il voto. Capisce, però, che è una «eventualità reale» e si muove per scongiurarla. Sono tanti i segnali che si accavallano. Uno: il 29 non attaccherà Fini, parlerà al Parlamento e alla Nazione, volerà alto e "chiamerà" i moderati di tutti gli schieramenti. Due: il 30 non ci sarà un voto di fiducia perchè la strategia del premier è evitare radicalizzazioni per dare modo a «settori responsabili» delle opposizioni di astenersi o non partecipare al voto. C’è però la mina Montecarlo. Fini annuncia lo stop a ogni confronto. Berlusconi a caldo, reagisce stizzito: «Non accetto ricatti. Fini non può pensare di usare la giustizia per fini politici». Le "colombe" di Palazzo Grazioli lo frenano. E raccontano un altro Berlusconi. Che su Montecarlo non da giudizi su Fini e che anzi ripete «di non essere un garantista a corrente alternata». Ma tante cose sono ancora da capire. Perchè martedì il premier ha pranzato con Vittorio Feltri? E perchè ieri ha ricevuto l’editore di Libero Antonio Angelucci? Per frenarli o per invitarli a continuare a picchiare duro? Si aspetta di capire, ma in uno scontro istituzionale sempre più aspro e nei palazzi della politica si ripete che anche il Quirinale vorrebbe capire prima di tornare schierarsi a difesa di Fini che cosa c’è di vero dietro l’affaire Montecarlo.È una giornata dove i contatti si accavallano. Berlusconi sente anche i vertici della Lega e Maroni sembra dire in chiaro quello che il premier ripete solo privatamente. «Non mi unisco a chi dice che oggi il problema è risolto, perchè i giochi si vedono mercoledì e giovedì quando ci sarà il voto palese». Una pausa precede l’avvertimento che conta: «So quanto conta nella lotta alla mafia avere una maggioranza solida con i provvedimenti presi che vengono sostenuti». Quindi – va avanti il ministro dell’Interno – «anche da un punto di vista dell’efficacia, non è indifferente avere un governo solido o appeso a un filo... Lo dico anche da un punto di vista istituzionale, un governo debole diventa inefficace». Le conclusioni sono inevitabili: «Senza una maggioranza solida e stabile io dico che è più responsabile andare subito al voto». Eppure anche la Lega vuole credere al miracolo. A un governo capace di terminare la legislatura. Ed è per questo che Maroni preme: «Chi vota il discorso di Berlusconi vota il programma per i prossimi tre anni. Chiunque sottoscriva le parole del premier non potrà dire di aver cambiato poi idea». Si prova a guardare avanti con fiducia. Ma in serata c’è chi racconta al premier uno degli ultimi sfoghi privati del presidente della Camera. «Non si può andare avanti così. E il problema non è il Pdl, è solo Berlusconi. È lui l’anomalia della politica, è lui il male del Paese». Parole durissime. Berlusconi ascolta. Sorride amaro. E si chiude la bocca.
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