domenica 13 giugno 2021
Pietre, calcinacci, lastroni di cemento, tubi di plastica, bulloni e negli ultimi mesi persino passerelle metalliche portate via dal vento
Il viadotto Bisagno

Il viadotto Bisagno - .

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Pietre, calcinacci, lastroni di cemento, tubi di plastica, bulloni e negli ultimi mesi persino passerelle metalliche portate via dal vento: è ampio e variegato l’inventario di oggetti che da anni piovono sulla testa di chi abita sotto il viadotto Bisagno, il tratto di autostrada A12 che attraversa l’omonima valle nel comune di Genova, sulla direttrice est-ovest. Una comunità di circa 50 persone che chiede a gran voce di avere un risarcimento sufficiente a lasciare per sempre quelle case e andare a vivere altrove, in un luogo più sicuro. Siamo nella periferia nord di Genova, dove le case e le industrie invadono i fiumi e i versanti delle colline.

Lungo quasi 600 metri e alto 70, il via- dotto è stato costruito nel 1967, lo stesso anno del ponte Morandi, anche se la tecnologia costruttiva è diversa: nessuno strallo, 8 campate di luce variabile, ogni pilone sostiene travi prefabbricate in calcestruzzo armato precompresso. Coinvolto nell’inchiesta parallela sui report falsificati per evitare manutenzioni e chiusure, non è stato giudicato a rischio crollo, ma dovrà subire un profondo intervento di ristrutturazione con un cantiere che durerà ben tre anni e mezzo, in parte già allestito. Il tutto esattamente sopra le case delle Gavette, una borgata di quattro palazzine circondate da orti e colline ma sovrastate da un gigante di cemento che ora toglie il sonno a 29 nuclei familiari.

«Qui è successo di tutto – esordisce Chiara Ottonello, la portavoce del comitato dei residenti –. Sono cadute otto passerelle metalliche a distanza di un mese l’una dal-l’altro, una ha colpito una finestra, una è finita nel mio giardino. Succede continuamente, ogni settimana, almeno da 5 anni». E dunque ben prima della tragedia del Morandi. Sull’ultimo episodio è stata aperta un’inchiesta - l’ennesima - da parte della magistratura genovese. «La settimana scorsa un legno è finito nel parcheggio a pochi metri da una bambina di un anno e mezzo. È uno stillicidio».

Fino al paradosso: in primavera, durante il montaggio delle impalcature sul viadotto, un cartello affisso ai portoni chiedeva ai residenti di avvisare il responsabile del cantiere quando fossero usciti di casa. Era l’unica misura di sicurezza attuabile per evitare incidenti potenzialmente tragici. La Regione, insieme a Comune di Genova e società Autostrade, ha avviato l’iter del Pris, il programma per l’attivazione di indennizzi a chi subisce l’impatto dei lavori per grandi opere. Ora spetterà al Rina certificare il livello di rischio del cantiere per quantificare i risarcimenti. Ma i residenti chiedono solo una cosa: «Vogliamo andarcene di qui - prosegue Ottonello –. La ex ministra De Micheli si era assunta l’impegno di farci spostare.

Poi abbiamo scritto al ministro Giovannini, che ancora non ci ha risposto. Abbiamo messo in chiaro che un trasferimento temporaneo non è il nostro scopo». L’assessore regionale alle Infrastrutture, Giacomo Giampedrone, che segue da vicino il dossier, ha auspicato che venga riconosciuta comunque una «cifra adeguata, altrimenti sarebbe offensivo per gli abitanti ». I quali, tuttavia, hanno già capito l’antifona: «L’unica certezza, da quello che ci hanno detto, è che l’indennizzo non sarà sufficiente per un trasloco definitivo. Noi di fatto siamo dentro un’area di cantiere. I nostri figli non possono più uscire in giardino a giocare. Ogni giorno rischiamo la vita». A condizionare la partita dei risarcimenti sarà ora il passaggio di Autostrade in mano pubblica. A differenza del caso Morandi non c’è un processo in corso, ma la speranza è che il prossimo cambio al vertice segni un cambio di passo. Anche perché senza quei soldi è impossibile traslocare: «Dal quel maledetto 14 agosto nessuno vuole più comprare una casa sotto un viadotto dell’autostrada – sospira Chiara Ottonello –. E anche noi, ogni volta che sentiamo tuonare, abbiamo un balzo al cuore».

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