venerdì 22 gennaio 2010
I gruppi di potere dietro la guerra intestina che movimenta da anni la sinistra. A Torino domenica il summit dei favorevoli.
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Erano due amici al bar e voleva­no cambiare il mondo, ma la Torino-Lione ha cambiato lo­ro, Sandro Plano e Antonio Ferren­tino. Nella storia dell’ex sindaco di Susa, oggi leader dei No Tav, e dell’ex presidente della comunità monta­na, che difende invece l’Osservato­rio governativo, si rispecchia quella del movimento che fa la guerra al tre­no superveloce. Il popolo No Tav, co­me lo si chiama da vent’anni me­scolando statistiche demografiche, memorie resistenziali e folclore oc­citano, sta cambiando. Quando, do­mani pomeriggio, scenderà in piaz­za a Susa contro i sondaggi geogno­stici si capirà se l’attività dell’Osser­vatorio messo in campo dal governo nel 2005 dopo gli scontri di Venaus abbia realmente sgonfiato la prote­sta. Dalla seconda metà degli anni No­vanta la gestivano loro, Sandro il bianco e Antonio il rosso. Stessa val­le, stessi amici e stesso bar: le riu­nioni più animate si concludevano immancabilmente al circolo Arci 'Felce e mirtillo' di San Giorio, da­vanti a una buona barbera. In que­gli anni, Sandro Plano era il volto moderato dei No Tav. Democristia­no da quando portava i calzoni cor­ti, l’ex sindaco di Susa veniva dal gruppo di Botta, punto di riferi­mento per i lavori pubblici; com­mercianti e professionisti lo sapeva­no e votavano in massa il candidato del centrosinistra (73% nel 2004) e lui, in testa ai cortei No Tav con la sua fascia tricolore, era una garanzia per vetrine e parabrezza. No Tav, be­ninteso, Plano lo è sempre stato. Chi dice per convinzione, chi per calco­lo, forse per entrambe le cose. Un po’ come Luciano Frigieri, il presidente della Comunità montana della Bas­sa Valle, anche lui dc di lungo corso, il quale all’inizio degli anni Novanta dichiarò guerra alle segreterie tori­nesi che avevano deciso di far pas­sare il progetto sulle teste dei comu­ni valsusini. Alla fine di quel periodo, arriva An­tonio Ferrentino, tessera comunista dal ’75. Riesce a gestire l’insurrezio­ne a colpi di proclami guevaristi - se­condi solo all’icastico 'Sarà dura' del capopopolo Alberto Perino - e in­terminabili assemblee popolari che conduce da solo o circondato dagli altri sindaci della valle. Sono gli an­ni di Mompantero, Seghino, Roccia­melone, Venaus, insomma dell’epos valsusino. Trenta, cinquantamila persone in marcia. E migliaia di mi­litari in valle. Grande teatro media­tico, grande fallimento politico per il centrodestra. Per tutti, antagonisti compresi, Antonio il rosso è leader carismatico, Sandro il bianco leader istituzionale. Il primo determinato a imporre al governo le vecchie re­gole del gioco democratico secondo cui chi governa non decide; il se­condo più felpato, più ac­corto nei toni, come si conviene a chi ammini­stra il comune che dalla realizzazione del tunnel avrà i maggiori vantaggi. Il gioco delle compensa­zioni è vecchio quanto le grandi opere. In valle di Susa l’aveva già gestito negli anni Novanta l’ar­chitetto Mario Virano, amministratore delegato della Austrostrada Tori­no- Bardonecchia. Virano è il deus ex machina chiamato da Palazzo Chi­gi dopo gli scontri di Venaus, un ex comunista colto e che veste alla li­berale: il feeling con Gianni Letta è immediato, la linea dura archiviata e spariscono anche le obiezioni de­gli amministratori di centrodestra, tagliati fuori dal dibattito pubblico. La partita si gioca altrove. Non ci sta solo la Lega, che cercherà di spari­gliare: ieri Umberto Bossi ha ipotiz­zato ad esempio che la Tav non ser­va veramente al Piemonte. Reazioni a catena del centrosinistra, che ge­stisce anche la marcia Sì Tav in pro­gramma per domenica al Lingotto di Torino. Dietro la convergenza tra PdL e Pd ci sono anche gli interessi dei grandi gruppi edili e della logistica per la road map della Torino-Lione. Si sa quanto sia stata decisiva, del resto, l’Unione industriali di Torino nel convincere Rfi a modificare il primo tracciato della Tav, che tagliava fuo­ri il polo logistico di Orbassano. A ri­scrivere il progetto ci hanno pensa­to nel 1995, in Provincia, un inge­gnere democristiano, Franco Cam­pia, dall’inossidabile curriculum moderato, e un’economista di for­mazione liberale passata ai ds: Mer­cedes Bresso. Oggi il governatore del Piemonte è il vero vincitore politico della ripartenza dei lavori alla Tav. Non può darlo troppo a vedere e de­ve lasciare al sindaco di Torino, Chiamparino, il ruolo di ariete poli­tico, perchè per battere il leghista Co­ta alle regionali di primavera servo­no anche i voti No Tav. Non a caso, il Pd piemontese, dopo aver minac­ciato il diluvio contro Plano e gli am­ministratori democratici schierati con le liste civiche del No, si è limi­tato all’ennesimo deferimento ai probiviri del partito. Sandro il bian­co sa che non succederà nulla e pro­mette: «Certo che voterò la Bresso». L’operazione che ha riscritto la sto­ria del movimento è scattata alla fi­ne del 2009. Antonio il rosso era già stato eletto in Provincia, sotto le in­segne di Sinistra e Libertà e Sandro il bianco non poteva ricandidarsi a Susa: così, si è fatto eleggere presi­dente della nuova comunità monta­na e a sostenerlo ha chiamato, con­tro il parere del Pd, anche i 'vecchi amici' No Tav, guidati da Luigi Casel da Bussoleno. Con un patto chiaro: fermare l’Osservatorio. Fulmini del Pd torinese e regionale. Sandro il bianco, però, ha tenuto fede all’ac­cordo, mettendosi di traverso al mo­mento della nomina dei tecnici. So­lo Antonio il rosso non l’ha seguito e l’antico fronte si è spezzato. Per la gioia del pro Tav Osvaldo Napoli (PdL), che, guarda caso, è vice di Chiamparino nell’Anci. «In questi anni la Tav è stata usata per riscrive­re gli equilibri della politica e so­prattutto del centrosinistra» am­mette Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese. Che precisa: «più dell’alta velocità, dovrebbe preoccuparci la crisi della Fiat».
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