venerdì 11 giugno 2010
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In America li chiamano pre-nuptials (confidenzialmente pre-nupts) e su di essi circolano molte leggende metropolitane e altrettanti capricci da vip, come tetti agli assegni di divorzio, rinuncia preventiva a pretese su case, ville e yacth, rendite milionarie per (eventuali) figli... In Italia da anni alcuni gruppi di pressione tentano di introdurli, in Parlamento giacciono diversi disegni di legge e qualche avvocato, come Domenico Marotta del Foro di Milano, ha lanciato l’idea di una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare. «È scontato – mette le mani avanti Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani, tra i più convinti difensori dei patti – che in ogni caso essi non potranno prevedere accordi lesivi dei diritti del coniuge più debole e in particolare dei figli. Tuttavia la libertà dei coniugi di regolamentare i punti cardine del loro matrimonio dovrà essere rispettata». Secondo Gassani, i patti dovrebbero essere una possibilità, non un obbligo, potrebbero regolare gli aspetti patrimoniali in caso di un eventuale, futuro divorzio – in primis il destino della casa coniugale – e l’affidamento dei figli. Secondo Gassani, ancora, nella pratica ad usufruirne sarebbero soprattutto mariti o mogli facoltosi, che si metterebbero così al riparo da un probabile contenzioso. «Resterebbero così salve le disposizioni del codice civile e le tutele minime delle parti deboli. Nella mia ipotesi, non si potrebbero stabilire rinunce al proprio ruolo genitoriale. Sono convinto che i patti eviterebbero molte guerre in tribunale tra ex coniugi. E anche tanti delitti in famiglia».La Corte di Cassazione non sembra essere dello stesso avviso, tant’è vero che nel corso degli anni ha sempre stabilito che i patti per regolare un eventuale, futuro divorzio o l’affidamento dei figli sono nulli, perché – sostiene la Corte – contrastano con la disciplina inderogabile sugli obblighi matrimoniali. I futuri coniugi, insomma, non possono crearsi un matrimonio su misura. «Giusto, perché questo condurrebbe a una eccessiva e ulteriore privatizzazione dell’esperienza matrimoniale – afferma l’avvocato Ciro Intino, già tra i responsabili del Forum delle associazioni familiari del Lazio e ora tesoriere nazionale –. Del resto la riforma del 1975 ha già introdotto modalità di autonoma regolamentazione degli interessi dei coniugi: basti pensare alla possibilità dei coniugi di scegliere tra comunione e separazione dei beni, e alla previsione per cui i beni personali possano rimanere tali oppure rientrare nel regime acquisitivo della comunione legale». Ma quello che preoccupa Intino è che le argomentazioni dei tifosi dei patti prematrimoniali segnano una «ulteriore separazione tra dinamiche più propriamente solidaristiche ed etiche della relazione matrimoniale e i contenuti più marcatamente patrimoniali». Come dire: i patti farebbero delle nozze una partita doppia dare-avere, mentre, al contrario, va valorizzato il significato originario del matrimonio come assunzione di responsabilità di fronte alla società. Ma poi, è proprio vero che i patti risolverebbero il contenzioso nei procedimenti di separazione? Se due futuri sposi mettono per iscritto prima di sposarsi chi dovrà crescere i figli, oppure quanti soldi dovrà versare l’uno all’altra (o viceversa), oppure chi terrà la casa al mare e chi la villa di famiglia, davvero tutto questo basterà, come dirà oggi a Bologna l’Associazione matrimonialisti, ad «evitare il processo» o a «ridurne i tempi», visto anche che «nel nostro Paese, quando la coppia non riesce a trovare accordi, occorre aspettare dagli 8 ai 10 anni per ottenere lo stato libero attraverso il divorzio»? «A me pare che queste affermazioni siano il portato di una forzatura ideologica – ribatte l’avvocato Intino, 54 anni, sposato («senza patti»), due figli –. È vero che i processi da noi durano a lungo, ma i termini per il divorzio decorrono comunque dalla sentenza parziale di separazione personale. Quanto ad eventuali patti prematrimoniali, nessuno può escludere che, prestandosi a impugnative di ogni sorta, vadano a fomentare, piuttosto che ridurre, il contenzioso».
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