venerdì 6 novembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Sono sette le Case di accoglienza collegate al Movimento per la vita italiano che hanno dovuto chiudere nel 2014. È la verifica amara che arriva dalla prima giornata del 35° Convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita in corso a Sacrofano fino a domenica. Le Case d’accoglienza aiutano mamme in difficoltà a vivere la gravidanza e i primi mesi di vita del figlio, a volte oltre i 12 mesi, in un contesto famigliare. Alcune accolgono anche donne vittime di violenza. Una risposta a quanto affermato ieri dal Cardinale Angelo Bagnasco: «Non si può lasciare da sola una donna che sta per diventare madre ed è in difficoltà» ed è la società che si deve attivare «attraverso reti, non solamente istituzionali, ma anche volontaristiche e di affetto». Paradossalmente è il volontariato il problema. Le Case d’accoglienza sul territorio italiano erano 49 nel 2013, sostenute da un migliaio di volontari in possesso di qualifiche professionali adatte, ma poiché molte leggi regionali non riconoscono il volontariato, le strutture sono state costrette ad assumere operatori con un aumento dei costi insostenibile. «Chiediamo alle istituzioni – commenta Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita – l’identificazione di fondi specifici per la tutela della maternità e una legge che consenta al personale volontario in possesso di determinati titoli e requisiti di poter essere considerato ai fini dell’accreditamento e delle convenzioni». Malgrado ciò, il 32% delle donne sono state accolte senza copertura economica degli enti locali: la maggior parte (63%) sono straniere che arrivano da 37 Paesi del mondo e il 4% sono minorenni. La rete delle Case ha aderito al progetto Cei per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati mettendosi a disposizione del tavolo coordinato da Caritas e Fondazione Migrantes. Una realtà che oggi presenta i suoi frutti all’udienza con Francesco.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: