venerdì 13 settembre 2013
La Corte Ue: il sistema delle concessioni può costituire un meccanismo efficace per prevenire le infiltrazioni criminali. Ma spetta alla giustizia italiana stabilire se le norme sono adeguate all'obiettivo
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Anche gli allibratori stranieri potranno ab­buffarsi al ricco tavolo del gioco d’azzardo nostrano. Mentre nei comparti dell’italica eccellenza gli investitori esteri non fanno a cazzotti per conquistarsi un posto nelle aziende che conta­no, il business delle scommesse con il suo fatturato da 90 miliardi all’anno è invece talmente ambito da trascinare il nostro Paese davanti ai giudici europei.
E la Corte Ue ha accontentato tutti e nessuno: le so­cietà dei Paesi Ue avranno facoltà di raccogliere pun­tate nell’intera area euro, ma potranno essere sotto­posti a restrizioni per ragioni di ordine pubblico. In questo modo è stato ribadito il 'no' a norme nazio­nali che impediscano di fatto qualsiasi attività tran­sfrontaliera nel settore del gioco d’azzardo. Ma per limitare il rischio 'far west' i giudici di Strasburgo hanno ritenuto possibile che un operatore già in pos­sesso di licenza nel suo Paese debba ottenere, per of­frire i suoi servizi in un altro Paese Ue, un’apposita autorizzazione delle autorità nazionali competenti.
La decisione della Corte riguarda il contenzioso aper­tosi tra i gestori italiani dei centri di trasmissione dati della società di scommesse austriaca 'Goldbet Sportwetten' e il ministero dell’Interno. I ricorrenti han­no avanzato ricorsi al Tar della Toscana invocando la vio­lazione del principio del mutuo riconoscimento delle licenze dopo che la polizia non aveva concesso loro l’autorizzazione ad operare poiché la Goldbet non era titolare in Italia della necessaria concessione.
La giurisprudenza della Corte ha già giudicato che un sistema di concessioni può costituire un mecca­nismo efficace per prevenire l’esercizio di queste at­tività per fini criminali o fraudolenti. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se il sistema di con­cessioni italiano risponda realmente all’obiettivo. Un’autorizzazione contribuisce chiaramente all’o­biettivo di evitare che questi operatori siano impli­cati in attività criminali o fraudolente «e sembra u­na misura del tutto proporzionata a tale obiettivo», spiega una nota della Corte a corredo della senten­za.
Tuttavia, poiché le autorizzazioni sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, «irrego­larità commesse nell’ambito della procedura di con­cessione vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni». La mancanza di autorizzazione non potrà perciò essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenerla «per il fatto che essa presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione». Il giudice del rinvio italiano aveva chiesto alla Corte Ue di pronunciarsi sulla congruità con il diritto co­munitario delle questioni sollevate dai ricorrenti.
Nella sentenza emessa ieri, i magistrati europei han­no sancito che l’obbligo di ottenere un’autorizza­zione di polizia, oltre alla concessione rilasciata dal­lo Stato, per operare nel campo del gioco d’azzardo non viola le norme Ue. Mentre, in determinate cir­costanze - come già dichiarato in una sentenza del febbraio 2012 - non è legittimo prevedere distanze minime tra i centri di raccolta delle scommesse. Ed hanno rimandato al giudice del rinvio la valutazio­ne del rispetto del principio di trasparenza delle con­dizioni e delle modalità di una gara per il rilascio di con­cessione, nonché delle norme relative alla decadenza delle stesse concessioni. I giudici europei hanno anche sottolineato che non è in vigore, a livello Ue, alcun obbligo di mutuo ri­conoscimento delle autorizzazioni rilasciate dai sin­goli Stati membri. C’è da stare certi che la 'lobby di azzardopoli' non mancherà di mettersi al lavoro per superare anche quest’ultimo ostacolo.
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