giovedì 9 maggio 2019
Al via il “Progetto Presidio”: aiuto legale e scuola d’italiano per i migranti
Nelle roulotte dove manca tutto
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Un cartello ci accoglie all’ingresso del "Gran ghetto", nelle campagne tra San Severo e Rignano Garganico. "Località Torretta Antonacci". Finalmente questo luogo di drammatica emarginazione ha un nome. Ma è l’unica novità positiva. Rispetto all’ultima nostra visita la situazione è peggiorata. E molto.

Un anno fa l’avevamo ribattezzato "Gran ghetto 2.0", perché rinato dopo l’incendio della notte tra il 2 e il 3 marzo 2017 che aveva provocato la morte di due migranti del Mali e il successivo sgombero con l’abbattimento di tutte le baracche. Era rinato spostato di poche decine di metri, perché i terreni sui quali si trovava il vecchio, di proprietà regionale, erano finiti sotto sequestro della Dda di Bari. Era stato realizzato con centinaia di roulotte. Una situazione mai vista in nessun ghetto.

Quest’anno ci sono ancora più roulotte, tutte scassatissime e non si sa come portate qui. Ma ci sono molte più baracche, ammassate alle roulotte, in una situazione di drammatica precarietà. Molto peggio di Borgo Mezzanone, almeno un po’ più organizzato. Qui c’è disordine, fango, ripari arrangiati, tantissime auto (si dice ci sia un mercato dei mezzi). Ma c’è il cartello. Eppure molti parlano del 'Gran ghetto' come se non ci fosse più e invece c’è. Eccome! Un migliaio di persone in crescita e non solo per l’inizio della stagione del pomodoro. Qui si sta spostando anche una parte degli immigrati di Borgo Mezzanone, preoccupati dagli annunci di smantellamento. Tanto il 'gran ghetto' non c’è più...

Noi ci entriamo con don Andrea Pupilla, direttore della Caritas diocesana di San Severo che da poco ha inaugurato il 'Progetto Presidio', il quarto in provincia (gli altri sono Foggia, Cerignola e Manfredonia). Ci saluta un immigrato dai capelli sbiancati. «Chi siete?». «Caritas. Possiamo venire?». «Sì, qua si muore di fame. Chi viene per salvare la vita è importante ». Un dialogo che vale più di un’analisi socioeconomica. E ancora più quello che vediamo. Baracche e roulotte sono state numerate con la vernice. Il numero più alto che vediamo è il 382, un numero che conferma che il ghetto è tutt’altro che scomparso. E c’è addirittura chi vive in auto, coperta di qualche telo. Li vediamo mentre entrano nella loro 'abitazione'. In fondo all’insediamento, tra cumuli di rifiuti che nessuno porta via, c’è la zona dei bagni, latrine autocostruite, buchi nel terreno con quattro pali e un telo.

Già ma il "Gran ghetto" non c’è più. Eppure ci sono le cisterne dell’acqua che la Regione ogni tanto fa riempire. E c’è la fila per lavarsi o riempire le taniche. Immagini di 'normalità'. Negozietti di cibo e vestiario. Due "coiffeur", come è scritto sulle baracche. Davanti a un’altra un calciobalilla. E su un divano due cani prendono il sole. Ad aiutare, ad ascoltare, c’è solo il volontariato. La Caritas fa sportello mobile qui il sabato mattina, e in altri giorni negli insediamenti di Serra Capriola e Lesina. C’è poi lo sportello in Caritas a San Severo il martedì pomeriggio. «Qualcuno – spiega don Andrea – dorme e mangia da noi quando c’è sportello. Vengono soprattutto per i documenti. Inoltre è stata attivata la scuola di italiano presso le suore salesiane, tre volte a settimana. Attualmente è frequentata da una decina di immigrati. E vengono anche con la pioggia».

E questo la dice lunga sull’importanza dei servizi di integrazione, quelli tagliati dal ministro Salvini. Non hanno invece avuto un gran successo le soluzioni abitative predisposte dalla Regione dopo incendio e sgombero. "Casa Sankara" nell’ex azienda agricola regionale Fortore, ospita poco più di cento persone tra tende, container e una palazzina. Altri cento dovevano essere ospitati in due palazzine all’Arena, struttura comunale ceduta alla Regione. Entrambe nel territorio di San Severo. Soluzioni solo abitative e che non affrontano i veri problemi che riguardano il lavoro. E comunque troppo lontane dai campi. E così gli immigrati preferiscono, malgrado tutto, il 'Gran ghetto' che non c’è piu. Ma che invece esiste.

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