mercoledì 16 gennaio 2019
A più di due anni e mezzo dal sisma alcuni sfollati restano a vivere nei container, in attesa delle Sae. Il nodo irrisolto delle macerie mai rimosse
A Borgo, frazione di Arquata del Tronto, ruspe al lavoro per le casette nell’estate 2017 (Ansa/Chiodi)

A Borgo, frazione di Arquata del Tronto, ruspe al lavoro per le casette nell’estate 2017 (Ansa/Chiodi)

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Nelle Marche, a oltre due anni e mezzo dal terremoto che ha devastato la regione, mancano ancora 18 casette. Le altre sono state consegnate tutte: resta quella manciata, 10 a Petriolo, nel Maceratese, e 8 ad Arquata del Tronto, nell’Ascolano, a fronte di 1.942 Sae (Soluzioni abitative per l’emergenza) prenotate. Nel frattempo, gli sfollati che aspettavano si sono arrangiati, sistemandosi in altro modo, chi con il Cas (Contributo autonoma sistemazione), chi nei container.

«In tutto ci sono circa 120 concittadini fuori casa – sottolinea il sindaco di Petriolo, Domenico Luciani –. Certo, la richiesta di casette qui da noi è partita un po’ dopo rispetto agli altri Comuni. Ma un paio di anni fa abbiamo allestito l’area container, quando ci siamo resi conto che le Sae non sarebbero arrivate in tempi brevi. Non abbiamo mai creduto alla favola che ce le avrebbero date in pochi mesi. Ci sono sei container in cui vivono circa 15 persone, si tratta soprattutto di famiglie. Addirittura è nato un bimbo, da una coppia che vive nel container. Abbiamo puntato molto sugli interventi di messa in sicurezza per far rientrare le famiglie nelle loro case, interventi per i quali si è già superato il milione di euro nel nostro Comune. C’è ancora molto da fare però, dato che la ricostruzione non sta ripartendo. Almeno, tra Cas e container, abbiamo evitato che qualcuno dovesse lasciare il paese, sono rimasti tutti insieme».

Luciani precisa che i lavori per le casette a Petriolo sono iniziati un po’ più tardi rispetto ad altri Comuni dell’entroterra. In questi giorni è stato fatto un nuovo sopralluogo nell’area con l’intenzione di poterle consegnare ai cittadini a breve. Intanto i dati forniti dalla Regione, aggiornati a metà dicembre, raccontano di 31.675 persone sfollate, di cui 935 ancora in albergo per un costo attuale mensile di oltre 747mila euro (dall’inizio del sisma in tutto sono state 12.851 per un costo complessivo di quasi 82 milioni di euro), mentre 4.115 sono i cittadini sistemati nelle casette e 96 in strutture socio sanitarie.

Il grosso della popolazione sfollata ha optato per il Cas: sono ben 26.240 i terremotati che ne usufruiscono (dall’inizio del sisma sono stati 38.900) per una spesa attuale mensile pari a sette milioni e mezzo di euro, mentre all’inizio del sisma i Cas sono costati oltre 232 milioni. In totale l’emergenza è costata, dall’inizio del terremoto, più di 314 milioni di euro e continua a costare, ancora, oltre otto milioni di euro al mese. La stima delle macerie è di 900mila tonnellate: ce ne sono ancora 437mila da rimuovere di cui 207mila nel Maceratese e 230mila nell’Ascolano, per un costo di smaltimento di 23 milioni.

Per il capitolo ricostruzione privata, sono 5.410 le pratiche presentate (quelle autorizzate sono 1.648) tra edifici con danni lievi, danni gravi, capannoni e attività produttive delocalizzate. Gli interventi di ricostruzione pubblica sono invece 969 in totale. Degli edifici ispezionati, la metà risulta inutilizzabile: su oltre 89mila controllati, ben 45.851 edifici risultano non agibili. «La nostra è una macchina che produce – sottolinea Cesare Spuri, direttore dell’ufficio speciale ricostruzione Marche –, il punto però è quanto produce.

Per farla produrre di più servono un incremento del personale e una semplificazione dell’intera procedura, sempre più necessaria e che deve essere in equilibrio tra trasparenza, legalità e regolarità da un lato e riduzione del numero di adempimenti in capo a ciascuno dall’altro, per permettere di procedere in tempi sufficientemente rapidi». Spuri sottolinea anche che, rispetto alle previsioni iniziali, mancano 103 unità all’ufficio ricostruzione regionale. «Siamo 188 persone al lavoro – sostiene –, il centinaio che manca è il personale che dovrebbe essere spostato dai Comuni, ma di cui i Comuni non possono però privarsi.

Ci manca poi quello che figura nella graduatoria della presidenza del Consiglio dei ministri: si tratta di persone che magari ora non hanno più convenienza a spostarsi per venire qui, e quindi il posto di lavoro effettivo resta vacante». Per quanto riguarda le macerie pubbliche, Spuri afferma che «ne è stato rimosso oltre il 50%, dai centri storici riaperti le abbiamo tolte tutte. L’opera di rimozione va sempre avanti, contiamo di riuscire a toglierle tutte nell’arco di tre anni e mezzo dall’inizio del terremoto», quindi per il 2020. Almeno così si spera.

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