giovedì 17 aprile 2014
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«Neanche Dio mi può perdonare». Ricordo bene le sue parole ai nostri primi incontri. Lui, gio­vanissimo omicida della persona a cui voleva più bene. «Perché l’ho fatto? Perché Dio ha permesso che lo facessi?». Era il suo duello con se stesso e con Dio, il cor­po a corpo di un ragazzo di 23 anni che aspetta una con­danna severa e lunga e si domanda che senso possa ave­re, di lì in poi, la sua vita. «Meglio morire...».Dopo qualche mese, proprio in un momento in cui forte, urgente, straziante era la domanda «che ne sarà di me?», pensai che fosse il momento giusto: «Prova a leggere il Vangelo di Luca – gli dissi – senza pretendere di capire tut­to subito». Da lì in poi il rapporto tra noi divenne più per­sonale. Dopo otto mesi fu pronto per il sacramento della  riconciliazione. Partecipava alla catechesi, a messa face­va  il lettore, pregava tutti i giorni.È una storia di molti anni fa. Oggi è fuori, libero. Il Signo­re gli ha fatto comprendere che la sua vita poteva ancora avere un senso. È riuscito nell’impresa di perdonare se stesso, nonostante il suo passato, con il suo peso da reg­gere, sia sempre lì,. Ma adesso sente che Dio lo accompa­gna, lo aiuta a reggere quel peso, gli permette di vivere. Avrebbe desiderato ricevere il perdono della famiglia del­la ragazza. Ha provato a cercare un contatto. Ma non gli è stato concesso. La ferita è ancora troppo dolorosa. Ma for­se, un giorno... (Storia raccontata da don Virginio Balducchi, Roma)
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