giovedì 28 agosto 2014
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Nella, con quel sentimento che è connaturato all’istinto di una madre, quella sera aveva offerto un’ultima carezza al pigiama nuovo. Mentre compiva quel gesto d’affetto, sul finire di un giorno di metà dicembre 2013, Nella non riusciva a scacciare dai suoi occhi le immagini di quel ragazzo incontrato che era solo e che piangeva in un angolo del Centro di accoglienza per minori non accompagnati di Augusta. Karamo, quella sera, stava piantato come un fuso in mezzo nello stretto salottino di questa casa popolare nel quartiere Paradiso, con l’ingresso che getta direttamente sulla strada. Il ragazzo, con lo sguardo basso, scrutava come un bambino timido e perso nel paese delle meraviglie, con tutte quelle cose, quegli oggetti d’arredo a lui sconosciuti, ma che a noi, invece, son così familiari e banali alla nostra vita e nelle nostre case, che non facciamo neppure caso più alla «magia» di un rubinetto che sgorga acqua potabile, come e quando lo desideriamo noi o a una sedia dove accomodarsi per mangiare stando composti. Quella notte, prima di spegnere le luci, Nella e Carmelo avevano preso per mano Karamo per accompagnarlo nella sua nuova cameretta, nella sua nuova abitazione: «Tutti emozionati, come quando in casa la cicogna porta un figlio». Si erano augurati la buona notte, masticando una macedonia di parole straniere e poi la porta era stata chiusa. «Ah, se ricordo il freddo di quelle notti a Augusta. Accanto al pigiama ci avevo messo pure una coperta di lana – ricorda la signora Nella Ternullo – . L’indomani mattina abbiamo trovato Karamo accovacciato in un angolo della stanza, come un cucciolo smarrito che ha conosciuto solo l’abbandono. Era intirizzito dal freddo, accanto al letto intonso e al pigiama intatto, come lo avevo lasciato. Abbiamo dovuto insegnarli molte cose a Karamo, non solo a che cosa serve un pigiama, ma anche a come ci si mette sotto le lenzuola. Poco a poco lo abbiamo accompagnato in questo che per lui è il nuovo mondo. Non è semplice, anche per noi tutto è nuovo con questa persona che viene dal Gambia. Quando era il tempo del Ramadan ero io che devo preparare il cibo al ragazzo, ma anche ai suoi amici che la sera si ritrovavano da noi per rompere il digiuno islamico, e non era la cucina che io conosco». La signora Nella, due figli grandi, fa la nonna, canta nel coro parrocchiale, ed è anche la cuoca per i quattro anziani frati cappuccini del vicino convento. In ogni stanza della casa di via Caracciolo c’è un simbolo religioso, padre Pio, la Croce francescana, le icone dipinte da un figlio. Karamo ha 17 anni è musulmano ed è venuto dal mare con un barcone di immigrati, e porta con se una storia di solitudine, è orfano dei genitori, e di sofferenza, dopo un viaggio verso l’Italia durato 14 mesi, passando attraverso la corona di spine e i traumi della Libia. Fino al suo diciottesimo anno di età, Karamo è affidato alla coppia di Nella e Carmelo. Due italiani «come tanti». Con i problemi di «questa crisi che ci tiene sulle spine, tutti noi e i figli grandi». Quelli di Nella, già adulti e con prole da crescere: «Tutti cerchiamo di districarci con qualche lavoretto – avverte Carmelo –. Ma con ciò non fermiamo il nostro sguardo dentro i confini della nostra casa. Ecco perché abbiamo deciso di accogliere Karamo». I minori non accompagnati che transitano in un Centro di prima accoglienza, dovrebbero, di norma, soggiornarvi massimo 72 ore, prima di raggiungere una più idonea collocazione in una comunità. In realtà ci rimangono parcheggiati e spesso nullafacenti, per settimane se non mesi. Ad Augusta di storie come quella di Nella e Carmelo, che si «accollano» minori immigrati a spese loro, senza alcun aiuto economico se non le proprie tasche, si chiamano anche Rosa, che fa la sovrintendente, Saria, avvocato, o il signor Giuseppe Abbate.

Una grande squadra, una grande famiglia solidale, che assieme all’associazione Stella Maris e le Scuole medie A. Ruiz del preside Carmelo Gulino, stanno disegnando un futuro per questi ragazzi, a cominciare dal garantire loro un percorso scolastico. Qualche delusione la signora Nella se la porta ancora nel cuore, anche se cerca di scansarla mentre ci dice che: «Per regalare solidarietà serve solo un pizzico d’amore». «Quanta amarezza quel giorno che uscita dalla parrocchia mi sono sentita chiedere da alcune persone: “Ma ti fidi a tenere in casa quello straniero?” Risposi - ricorda Nella - che mi era più difficile affrontare il loro pregiudizio».  Karamo ogni giorno rivive la sua storia, anche attraverso i telegiornali: «Nel mare di morti ce ne sono tanti, tanti. Ma sulle piste del deserto molti, molti di più. I corpi di chi non ce la fa, si gettano via come spazzatura e le ossa biancheggiano nella sabbia. Questo traffico umano deve finire. Io l’ho provato e non sapevo a cosa andavo incontro a cosa ho sofferto, mentre i miei amici sono morti. Non lo avrei mai fatto se solo lo avessi saputo prima». Nella e Carmelo, sanno che un giorno il Karamo maggiorenne andrà per la sua strada: «Nei nostri cuori ci resterà la consapevolezza di averlo accolto e accompagnato per un pezzo della sua vita, come abbiamo fatto con i nostri figli. La bellezza della solidarietà è fare questo. Siamo persone normali, non benestanti, qui, nel Sud, si dice che: 'A casa capi quantu vuoli u patroni' (La capienza della casa la fa il suo padrone, ndr). Perché, dove si mangia in cinque, si mangia pure in sei».

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