giovedì 11 novembre 2021
All'Opera San Leonardo, realizzata con l'8x1000, gli ospiti vivono, lavorano la terra e gestiranno una fattoria sociale. Erano tutti vittime di schiavitù o dipendenze. Parla il vescovo Spinillo
Così 23 senza dimora hanno trovato casa, orto e giardino

Caritas Aversa

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Nordin, Jawher, Emilia, Mouhamed, Giancarlo tutte le mattine alle 6 escono dalla loro casetta e vanno a lavorare nell’orto. C’è da irrigare, da zappare, da raccogliere. Insalata, finocchi, cavolfiori, broccoletti, le uova delle galline. Non sono contadini ma senza dimora. Anzi 'ex' senza dimora. Sono 23 persone, 15 immigrati e 8 italiani, tra 19 e 69 anni. Anche 5 donne. Sono gli ospiti dell’Opera San Leonardo, il protettore di chi è vittima di schiavitù e dipendenza. L’ultima opera segno della Caritas diocesana di Aversa, realizzata grazie ai fondi Cei dell’8x1000. Siamo in via Roma, nel cuore della città normanna in provincia di Caserta. E qui vivono, lavorano, costruiscono una nuova vita, persone che prima abitavano la strada. Storie di abbandono, di violenze, di lavoro perso e di lavoro nero, di alcol e altre dipendenze. Sabato scorso la casetta e l’orto, un moggio, 5mila metri quadri, entrambi di proprietà diocesana, sono stati inaugurati dal vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Un taglio del nastro accompagnato dall’ola degli 'ospiti', che indossavano una maglietta con la scritta 'Gioia', e di tanti che hanno voluto essere presenti a questo importante momento. È il giardino della speranza, un progetto nato con la pandemia.

Caritas Aversa

«Durante il lockdown abbiamo riflettuto su come rispondere alla necessità di non abbandonare i senza dimora – spiega il direttore della Caritas diocesana, don Carmine Schiavone –. Abbiamo quindi pensato di inserirli in un circuito virtuoso: ne è nato un luogo di lavoro fondato sul legame forte con la terra, e dunque con il Creato». La casetta era utilizzata parzialmente per l’accoglienza, il terreno era completamente abbandonato, quasi irraggiungibile per l’erba alta. Ora, grazie ai senza dimora e agli operatori Caritas, è stato ripulito e ospita lunghi e ordinati filari di ortaggi, alberi da frutto, ulivi, e un pollaio. I prodotti vanno soprattutto alla mensa della Caritas. Così i senza dimora da ospiti della mensa ne diventano i fornitori. E presto ci saranno anche un cavallo e una capretta, come ci spiega il referente del progetto, Davide Griffo, 33 anni, operatore Caritas e calciatore. Perché sarà anche fattoria sociale, luogo educativo, aperto alle scuole e alla città. Proprio in questo senso alcune tabelle raccontano la vita di Jerry Masslo, il rifugiato sudafricano e bracciante, ucciso il 25 agosto 1989 nel ghetto casertano di Villa Literno. Un progetto che vede i senza dimora finalmente protagonisti della loro vita.

Caritas Aversa

«Alcuni erano vecchie conoscenze, altri li abbia scoperti col Covid. Ospitarli per tutelarli ci ha permesso di conoscerli meglio e di aiutarli a uscire dalle dipendenze» spiega ancora Davide. Nordin, 60 anni, marocchino, si occupa delle galline. «È molto riservato, preferisce stare con loro. Il pollaio è la sua 'zona confort'» ci dice Davide. E ha una convinzione. «Dobbiamo estirpare l’erba cattiva, scavare e piantare semi di vita nuova». Come Jawher, 23 anni, tunisino. Ha perso una mano per un incidente sul lavoro in fabbrica. Poi il viaggio in barca. «Sperando in una vita migliore». E il tentativo di arrivare in Francia, bloccato a Ventimiglia. Quindi la strada e l’accoglienza in Caritas dove ha ritrovato due amici che avevano fatto il viaggio con lui. «Malgrado la mutilazione lavora tantissimo. Ed è commovente vederlo impugnare con impegno il rastrello». Mouhamed, 36 anni, anche lui tunisino, in patria aveva un campo di piante da datteri e anche l’orto. «Questo mi ricorda tanto casa» ci dice. E manda col cellulare le foto al fratello, facendo a gara a chi ha l’orto più bello. Giancarlo, 53 anni, casertano, faceva il muratore e non lo ha dimenticato. Così è stato protagonista della ristrutturazione della casetta. Ma conosce bene anche la terra e così dopo la calce e i mattoni ora usa zappa e vanga. L’orto e la convivenza cambiano davvero queste vite. Emilia, 60 anni, di Caivano, ha vissuto per anni sotto il portico di una banca aversana, consumando alcol acquistato con i soldi guadagnati come parcheggiatrice abusiva. Ora sta imparando progressivamente a prendersi cura di sé e a tenere le distanze dall’alcol. «La cosa bella – ci dice don Carmine – è che qui ha ritrovato una persona conosciuta in strada, verso la quale prova un sincero sentimento di affetto: insieme stanno provando a 'ricostruire' se stessi e la loro capacità di amare». Anche questo è il giardino della speranza.

Caritas Aversa

Il vescovo Spinillo: «Ora tornino protagonisti, restando al centro della città»

«Qui vogliamo annunziare e condividere un’esigenza e un’esperienza di liberazione». Ce lo dice il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, spiegando il senso dell’Opera San Leonardo.

Liberazione da cosa e come?

Vogliamo che sia un luogo di liberazione da tutto ciò che rende schiava l’umanità, la incatena, le impedisce di esprimersi al meglio. E questo oggi avviene in tante forme, dal lavoro nero alle dipendenze da sostanze e da alcol. Ma anche quel senso di abbattimento che a volte prende tanti dei nostri ospiti, reduci da esperienze negative che li hanno bloccati, impedito a loro di sperare. E così si sono arresi. Qui noi speriamo che possano davvero riprendere fiducia nella vita.

Oltre a un lavoro vero e un impegno, voi qui offrite una casa a chi casa non ha.

E la vita. Essere protagonisti della vita. L’idea ci è venuta al termine del lockdown quando questi nostri amici, dopo essere stati 'chiusi' per tanti mesi in Caritas, si erano come disintossicati. Prima venivano solo per dormire e ogni sera arrivavano in condizioni non proprio belle. Invece in questo periodo non hanno assunto alcol, non hanno preso so- stanze. Hanno potuto vivere una vita più serena. Allora ci siamo posti la domanda: 'Ora cosa facciamo? Li rimandiamo sulla strada o proviamo a dare a loro una possibilità?'. Anche perché nel frattempo si era creato un maggiore spirito di famiglia, di amicizia. E tutto questo ci è sembrato si potesse concretizzare in questa forma.

Un luogo che voi volete aperto alla città, non luogo chiuso.

È quello che noi speriamo. Siamo al centro della città, siamo sotto gli occhi di tutti. Tutti possono venire a visitare, tutti possono essere coinvolti. Dalle associazioni alle scuole. E già hanno cominciato. È molto bello.

I senza dimora, gli scartati, gli espulsi dalla comunità, qui invece accolgono.

Accolgono e propongono uno stile, un modo nuovo e più bello di vivere, più fraterno. Che è quello di condividere la vita. Non a caso sul murale abbiamo scritto 'Fratelli tutti'. I poveri non sono un problema da risolvere o da allontanare, ma vivono con noi, sono parte della nostra comunità. Sono fratelli e sorelle con i quali siamo chiamati a camminare verso la stessa meta: una società più giusta in cui tutti possono essere di sostegno al cammino degli altri, riconoscendo che tutto è dono di Dio. Un dono che va condiviso in fraternità.

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