mercoledì 24 settembre 2014
Confesercenti: liberalizzare gli orari ha portato più danni che benefici. Ieri approvato un emendamento che riduce a sei i giorni annui di chiusura obbligatoria dimezzandoli rispetto al testo base.
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Proprio mentre la Regione Lombardia, (61 voti favorevoli e 4 contrari) – come hanno già fatto altre regioni – dà il via libera alla proposta di indire un referendum abrogativo della legge nazionale che ha liberalizzato gli orari di apertura dei negozi, la commissione Attività produttive della Camera approva un emendamento che va nella direzione opposta. Nel senso che riduce a sei i giorni di chiusura obbligatoria per ogni anno, dimezzandoli rispetto al testo base e riservando agli esercenti, e non più ai Comuni, la scelta delle sei date in cui restare aperti, da scegliere tra le 12 festività di legge.«Una decisione assolutamente impresentabile che ci trova in pieno disaccordo – dichiara Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti, e tra i registi della campagna "Libera la domenica" –. Perché finisce per favorire la grande distribuzione a tutto svantaggio dei piccoli. Sia chiaro: le aperture domenicali sono giustificate quando in un comune ci sono esigenze di servizio, o quando ad essere interessati sono siti ad alta vocazione turistica». Laddove queste ragioni non sussistono, «sono inutili e dannosi gli eccessi conseguenti alle liberalizzazioni. E comunque – prosegue Bussoni –, noi proponiamo che siano i sindaci a regolamentare una materia simile per garantire concorrenza e quote dei consumi. Lavoreremo perché in Aula la misura cambi».A supporto delle sue tesi, il dirigente di Confesercenti cita un dato che la dice tutta sull’"efficacia" delle liberalizzazioni: 56mila imprese hanno chiuso i battenti nei due anni di applicazione della norma contenuta nel decreto "Salva Italia" (legge 201 del 2011) che, dal gennaio 2012, apre alla definitiva deregulation del regime degli orari delle attività commerciali. Del resto, sempre secondo i dati Confesercenti, le nuove imprese del commercio hanno vita sempre più breve: a giugno 2014 oltre il 40% delle attività aperte nel 2010 – circa 27mila imprese – è già sparito «bruciando un capitale di investimenti di 2,7 miliardi di euro». Insomma, un’impresa su quattro dura addirittura meno di tre anni. Certo, sarebbe fuorviante, in un periodo di prolungata crisi, attribuire questa moria di piccole ditte alla sola liberalizzazione. Ma Confesercenti è certa della sua battaglia. E l’1 ottobre, alla Camera, l’organizzazione di categoria presenterà il dossier "2012-2014, tre anni da liberalizzati", che conterrà tutti i dati relativi a questo «periodo nero» ma anche significative proposte per l’immediato futuro.Intanto, come detto, la Regione Lombardia è tra quelle che ha espresso parere favorevole al referendum. Anche se non è stata ancora raggiunta la quota di 5 Consigli regionali prevista dalla Costituzione. La decisione non è stata sostenuta solo dalla maggioranza di centrodestra ma anche da partiti di opposizione come il Pd e il Movimento 5 Stelle. Il relatore del provvedimento, il presidente della Commissione Attività produttive Angelo Ciocca della Lega Nord, ha spiegato che «è ora di riportare un po’ di equilibrio in un settore come quello del commercio, che in Italia, rispetto agli altri Paesi europei, può vantare una illimitata libertà. Si è creata una deregulation che ha finito per discriminare i piccoli commercianti e le imprese familiari».>
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