martedì 28 ottobre 2014
Nel mirino imprese col certificato antimafia: 13 gli arresti. Si scoprono bancari e notai "onorati" di potersi mettere al servizio delle "famiglie".
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Non è una storia di ordinaria corruzione, non si tratta del solito appalto truccato in Expo. Questa è una storia di ’ndrangheta , la dimostrazione che «nulla è cambiato», dice con amarezza Ilda Boccassini, dopo le inchieste e il maxi processo, le centinai di condanne in "Infinito".Sei mesi fa Salvatore Muscatello ha festeggiato 80 anni. In casa. Per motivi di salute era agli arresti domiciliari dopo una condanna a 17 anni nel processone. Sino all’altro ieri c’era la fila alla sua porta. Per prendere ordini, avere consigli, «chiedere favori, offrire protezione, per ottenere danaro per le famigli e dei detenuti». Lo ha fatto «più volte» anche la compagna di Fortunato Valle, affiliato alla cosca Distefano di Reggio Calabria, appena condannato in appello a 27 anni. Andavano a Mariano Comense perché don Salvatore è il capo della " locale", il "patriarca" con l’investitura della famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia).«Proiezione dei Mancuso» sono anche i Galati, «radicati a Cambiate». Capo riconosciuto è Antonio Galati (52). Lo hanno sorpreso a girare con due revolver, calibro 38 e 9. Ma il carcere non gli ha impedito, servendosi dei familiari, di con tinuare a gestire i suoi affari.Così dietro lui hanno arrestato anche gli altri maschi Galati. Giuseppe (43), nipote, già in cella per traffico di stupefacenti e importazione di armi da fuoco (inclusi i revolver dello zio). Poi l’altro Giuseppe (36) figlio di Antonio, che non potendo ottenere la licenza, ha intestato al ragazzo un «compro oro» a Cantù. Aperto anche alla ricettazione di gioielli, come quelli rapinati in un negozio di Seveso. Quarto a tornare in galera è stato Fortutato (46). Ha minacciato di morte la direttrice del carcere di Monza, cui erano già stati spediti tre proiettili di avvertimento perché non gli avrebbe inoltrato una domanda di trasferimento.Boccassini con i suoi sostituti Storari e Cella, è venuta per raccontare innanzi tutto queste «storie di famiglie, di dna, di sangue». Storie di ’ndrangheta «dalla quale non si esce se non con la morte o consegnandosi, collaborando con lo Stato». Di pentiti, questa volta non c’è traccia. Peggio, c’è la scoperta di tanta gente normale, come lo "straccione" nell’agenzia delle Entrate, un ex bancario, un agente carcerario, ma anche notai, professionisti che considerano un onore "collaborare" con le gradi "famiglie". Sono in Lombardia il «capitale sociale» della ’ndrangheta. Un capitale che può aver consigliato a certi imprenditori modenesi di subappaltare lavori da 450 milioni per la tangenziale est dell’Expo alla Skavedil di Giuseppe Galati, che ha diretto l’operazione dal carcere. E non ha trovato difficoltà nella dichiarazione antimafia con i cognati cui aveva fittiziamente ceduto la sua quota. E in Prefettura, dove pure di "infiltrati" ne hanno smascherati più di sessanta, nessuno – sottolinea la Boccassini – ha pensato di fare uno «storico», una lettura del casellario giudiziario. Altro affare lo hanno fatto a Rho con la collaborazione di Calogero Addisi, consigliere comunale passato da Forza Italia al Pd: con 300 mila euro di «illecita provenienza» fece acquistare a due imprenditori un terreno agricolo, trasformato col suo voto in terreno edificabile. Anche lui faceva parte della famiglia. Aveva sposato, infatti, la figlia del capo dei capi, il Mancuso di Limbadi.
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