giovedì 13 maggio 2021
Dopo essere scesi a 400mila neonati l'anno, è possibile invertire la tendenza recuperando uno 0,6 di tasso di fertilità e oltre 100mila bambini in più
Oltre 500mila nati l'anno, un obiettivo possibile

Siciliani archivio

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Il 2020 ha visto l’ennesima riduzione delle nascite in Italia. Ad aggravare l’ormai noto «inverno demografico», si è aggiunta poi la pandemia che ha contratto ulteriormente i dati. È un campanello d’allarme raccolto da papa Francesco e dal presidente del Consiglio Mario Draghi che apriranno - in presenza - stamani alle 9,30 la prima edizione degli Stati generali della natalità, all’Auditorium della Conciliazione a Roma, in diretta su Tv 2000 e in streaming sul sito www.statigeneralidellanatalità.it e sulla pagina facebook @SGDNAT.

Saranno presenti anche i ministri della Famiglia, Elena Bonetti, e dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e la sindaca di Roma Virginia Raggi. Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, terrà una relazione introduttiva (che anticipiamo qua sotto). A promuovere l’incontro è il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, che modererà tre tavoli tematici in cui esponenti di imprese, banche, assicurazioni, media, cultura si confronteranno sul tema della natalità. Ospiti i vertici di aziende come Poste Italiane, Open Fiber, Rai, Enel, Federcasse, Lux Vide, Generali Italia e Fondazione Mediolanum Onlus. Ci saranno anche interventi di giornalisti, tra cui il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, Aldo Cazzullo (Corriere della sera) e Annalisa Cuzzocrea (Repubblica). Presenti anche il calciatore della Lazio Ciro Immobile, con la moglie Jessica, e l’attrice Anna Foglietta. (r.r.)

Il messaggio, nel linguaggio dei numeri, è inequivocabile: le nuove generazioni vengono sempre più ad avere un posto marginale nel contesto della popolazione italiana. I neonati, le cui nascite hanno toccato le punte massime al tempo della Ricostruzione post bellica e del "miracolo economico", con valori nell’ordine del milione, sono da lungo tempo a livelli minimi mai raggiunti nella nostra storia e proseguono lungo una discesa che sembra non avere fine. Il traguardo simbolico dei 400mila nati annui, pressoché raggiunto nel corso del 2020, si presta ad essere scavalcato al ribasso nel bilancio del 2021, allorché verranno alla luce gli esiti delle gravidanze avviate durante le drammatiche fasi della pandemia.

Paura, incertezza e disagio socio-economico sono i nuovi ingredienti andati ad aggiungersi ai classici fattori - costo dei figli, difficoltà nel conciliare maternità e lavoro, carenza di supporti per la cura - che tradizionalmente frenano le scelte genitoriali degli italiani. Scelte che da tempo accreditano l’immagine di un Paese privo di vitalità: sempre più destinato a subire le conseguenze di una demografia malata e incapace di favorire una visione in positivo del futuro, nostro e di chi verrà dopo di noi.
L’appello che oggi gli Stati Generali della Natalità indirizzano al Paese è chiaro e ben argomentato. Occorre una decisa svolta per uscire da una crisi demografica i cui effetti, ignorati o quanto meno sottovalutati per lungo tempo, rischiano di affossare le aspettative di ripresa e di compromettere la qualità della vita delle generazioni di oggi e di domani. Le statistiche dell’ultimo decennio mostrano un’Italia in cui, mentre le nascite sono calate di un quarto, gli ultranovantenni sono raddoppiati e la popolazione in età attiva si è ridotta di oltre 1,4 milioni. Anche il totale dei residenti, privato del contributo migratorio che a lungo aveva compensato l’eccesso dei morti sulle nascite, ha iniziato a scendere, giungendo a perdere progressivamente, negli ultimi sei anni, oltre un milione di unità.

Ma l’auspicata svolta per arginare la corrente impetuosa del declino demografico richiede un efficace e tempestivo intervento sul terreno delle nascite: necessita l’avvio di un piano mirato ad indirizzare in tempi brevi il livello di fecondità degli italiani, oggi precipitato a 1,2 figli in media per donna, verso un valore-obiettivo di equilibrio capace di garantire il ricambio generazionale (idealmente i due figli in media). A tale proposito, se è vero che il confronto internazionale sottolinea impietosamente la nostra debolezza - peggio di noi, nella Ue, solo Spagna e Malta - è però vero che ci offre anche il confortante esempio di alcuni Paesi che, dopo aver toccato il fondo, sono riusciti a risalire. Nei sei anni tra il 2013 e il 2019 - quindi prima dei turbolenti effetti di Covid-19 - il numero medio di figli per donna si è accresciuto in Germania, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Romania. A dimostrazione che il terreno perso si può recuperare! Ma allora perché non immaginare che anche da noi si possa inaugurare, proprio grazie a un clima di "ri-generazione", una nuova stagione sul fronte della natalità? Proviamo a prefigurare un obiettivo, sufficientemente realistico e in linea con i dati dell’esperienza dei partner europei che ce l’hanno fatta: un aumento del numero medio di figli per donna di 0,6 unità nell’arco del prossimo decennio. Tale risultato, ove raggiunto, porterebbe il totale annuo dei nati in Italia dai 394mila ipotizzati per il 2021 a 524mila nel 2031.

Nel decennio avremmo modo di conteggiare complessivamente 517 mila nascite in più rispetto a quanto indicato negli scenari che vengono ufficialmente proposti a dinamica invariata. Di fatto, una simile ripresa accrescerebbe il nostro "patrimonio demografico" - inteso come il totale di anni di "aspettativa di vita" che competono al complesso della popolazione residente in Italia - con un’iniezione di futuro pari a 43 milioni di anni-vita. E tutto questo pur mettendo in conto, tra gli ostacoli che si frappongono al rialzo della natalità, sia il recente crollo del numero dei matrimoni, sia la ineludibile ulteriore riduzione del potenziale di donne in età riproduttiva. L’obiettivo indicato resta dunque possibile, tanto nell’intensità quanto nei tempi ipotizzati. Il suo successo dipenderà unicamente dal modo in cui tutti noi, ognuno facendo la propria parte, saremo capaci di favorire un contesto culturale e normativo amichevole. In grado di valorizzare la felice triangolazione tra gli attori - in primo luogo le famiglie, ma anche il non profit e il mondo delle imprese -, le risorse, oggi verosimilmente più disponibili che in passato, e infine i progetti per trasformare presto, con un mix di professionalità e fantasia, le buone idee in efficaci azioni.

Presidente dell’Istat

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