martedì 12 novembre 2013
​Oggi i parenti delle 19 vittime ricevono dal ministro della Difesa la medaglia alla Riconoscenza. Napolitano: vittime di una inaccettabile violenza. Domani mattina l’abbraccio di Papa Francesco all’udienza generale in Vaticano. E da quel dolore sono nate tante iniziative di cooperazione.
LA POLEMICA Medaglia della riconoscenza e non «al valor militare»
Dieci anni dopo tra dolore e impegno (Lucia Bellaspiga)
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Il ministro della Difesa Mario Mauro, ha deposto questa mattina una corona d'alloro all'Altare della Patria, per celebrare la Giornata del ricordo dei caduti nelle missioni di pace, in occasione del decimo anniversario della strage di Nassiriya avvenuta il 12 novembre 2003. Con il ministro erano presenti i vertici delle Forze Armate, tra cui il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della celebrazione della Giornata dedicata al ricordo dei caduti, militari e civili, nelle missioni internazionali per la pace, ha inviato al Ministro della Difesa, Mario Mauro, un messaggio: "Rivolgo il mio deferente omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita adempiendo con onore al proprio dovere, al servizio dell'Italia e della comunità internazionale. Nel 10° anniversario della strage di Nassirya, che oggi ricorre, un commosso pensiero va, in particolare, ai 19 italiani tragicamente caduti in quell'efferato, gravissimo attentato ed agli iracheni che con essi perirono, vittime di una stessa inaccettabile e vile barbarie".------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Amare il proprio nemico e perdonarlo. È il traguardo più alto e lontano, spesso lontanissimo, dalle nostre concrete possibilità di mettere in pratica il più forte comandamento di Gesù. Per questo dieci anni fa (era il 12 novembre 2003, giorno del più sanguinoso attentato contro gli italiani dalla seconda guerra mondiale) fummo in molti e rimanere quasi increduli di fronte alla bellezza di quella giovane moglie, Margherita, che aveva appena perso il marito carabiniere nella strage di Nasiriyah eppure trovava conforto nel perdonare. «Se amate chi vi fa del bene che merito ne avete?», diceva più a se stessa che alle tivù che affollavano la sua casa di San Vitaliano, Napoli. La vera rivoluzione era amare il nemico e lei iniziava da subito, annullando una morte - quella del brigadiere Giuseppe Coletta, 37 anni e una bimba di due che lo attendeva a casa - con altre vite: «A Nasiriyah hanno ucciso mio marito? E io invio all’ospedale pediatrico di Nasiriyah le incubatrici che salveranno i loro figli». Trecento chili di tritolo vanificati con un gesto d’amore. Si innescava così quel circolo virtuoso che presto sarebbe sfociato in un’associazione dal titolo programmatico, "Bussate e vi sarà aperto", e in un primo libro altrettanto incisivo: "Il seme di Nasiriyah" (editrice Ancora, 2008), ove la sorpresa stava nel fatto che quel toponimo, così legato all’immagine del sangue e dei diciannove corpi straziati, si unisse al concetto di seme, di vita che germoglia. E ben due volte Margherita aveva detto il suo sì, la prima quando Paolo, 6 anni, era morto di leucemia, la seconda con Giuseppe, che solo tre giorni prima di tornare a casa dall’Iraq, era stato dilaniato dal tritolo.E in questi dieci anni che cosa è accaduto? Quel sangue versato a Nasiriyah non si è perso in un fiume sterile di dolore, ma ha irrorato terreni nuovi di speranza: è questo che racconta il secondo volume uscito in occasione del decennale della strage, "Nasiriyah fonte di vita" (Ancora), scritto a quattro mani da Margherita Coletta con la giornalista di "Avvenire" Lucia Bellaspiga, di nuovo insieme per raccontare che il bene è possibile anche a partire da un abisso di male. Nasiriyah fonte di vita, dunque: ancora una volta un’apparente contraddizione. Eppure basta leggere di quei cinque pozzi per l’acqua potabile scavati in Africa grazie proprio ai proventi del primo volume (e ora del secondo), interamente devoluti ai progetti dell’associazione. Accanto ai pozzi, che hanno portato salute dove pochi mesi fa si moriva come mosche, è sorto il centro di accoglienza per bambini orfani, edificato fin dalla prima pietra grazie alle donazioni di migliaia di italiani, coinvolti nell’impresa e contagiati dalla forza del bene. Accanto, il refettorio, e ora un dispensario in costruzione. Il tutto dedicato ai diciannove di Nasiriyah, il cui volto non si perde in retoriche celebrazioni ma rivive all’entrata di quella che ormai chiamano Cittadella della Speranza. Sono le belle notizie che spesso i media scordano di raccontare, vicende che riscattano il volto oscuro dell’uomo. Nessun eroismo, soltanto storie semplici che ci appartengono, purché al bivio sappiamo scegliere da che parte stare: «Così come il male produce il male – scrive Andrea Bocelli nella postfazione – anche il bene torna, moltiplicato. Magari non nell’immediatezza, ma alla fine riappare.». Toccante la testimonianza dell’inviato di guerra della Rai, Pino Scaccia, che a Nasiriyah conobbe Coletta e «la sua voglia di aiutare i non privilegiati». Così come lo stupore di don Juliàn Carròn di fronte alla forza apparentemente sovrumana di una madre che ha perso il suo bambino e poi anche il marito, ma sa che «l’importante è Gesù e lasciarsi guidare da Lui». Allegato al libro, un cd nel quale i grandi nomi dello spettacolo hanno voluto offrire le loro voci, da Luca Barbarossa ai Nomadi, Da Paolo Vallesi a Raoul Bova, Antonella Ruggiero, i Matia Bazar, Peppino di Capri... Oggi i parenti delle 19 vittime riceveranno dal ministro della Difesa la medaglia alla Riconoscenza. Domani mattina l’abbraccio di Papa Francesco all’udienza generale in Vaticano.
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