venerdì 6 maggio 2011
Tre righe dattiloscritte in neretto aprono, quando ancora non è sera, il sito del Quirinale: Investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il governo. Dietro quelle dodici parole c’è l’inatteso fastidio di Giorgio Napolitano verso la nomina dei nove nuovi sottosegretari. E c’è la chiara volontà di costringere il premier a un nuovo voto di fiducia.
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Tre righe dattiloscritte in neretto aprono, quando ancora non è sera, il sito del Quirinale: Investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il governo. Dietro quelle dodici parole c’è l’inatteso fastidio di Giorgio Napolitano verso la nomina dei nove nuovi sottosegretari. E c’è la chiara volontà di costringere il premier a un nuovo voto di fiducia. La nota del Colle lascia il Palazzo senza parole. Nessuno era a conoscenza della scelta di Napolitano. Nemmeno i presidenti di Camera e Senato. Nemmeno il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini. Berlusconi legge quella nota più di una volta. Poi abbozza un sorriso leggero. «Non ci spaventa un voto di fiducia. Anzi potrà darci ulteriore forza e ulteriore determinazione per completare la legislatura».C’è confusione. E, inevitabilmente, c’è prudenza. Tutti leggono la nota del Colle: «...Sono entrati a far parte del governo esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche...». Quindi «spetta ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio valutare le modalità con le quali investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il governo». È una partita anche tattica. Pier Luigi Bersani capisce quanto sia scivoloso il terreno e preferisce attendere. «Quando si nominano nove sottosegretari e se ne annunciano altri dieci o siamo ad un singolare mercato o siamo ad una nuova situazione politica. E questo credo che sia il punto affidato, ora, alla valutazione dei presidenti della Camera e del Senato». Nessuno parla esplicitamente di voto di fiducia. Nessuno capisce che cosa in realtà chieda il Quirinale. E molti si interrogano sul perché una richiesta del genere non sia stata fatta dopo la nomina di Saverio Romano (eletto con l’Udc) a ministro. Torniamo alle 18 e 42. È un flash d’agenzia che annuncia il caso politico: Maggioranza modificata, Camere si esprimano. I vertici del Pdl sono tutti in campagna elettorale ma nei minuti che seguono tutti chiamano tutti. Gasparri e Cicchitto si sentono e sentono i rispettivi vice Quagliariello e Corsaro. Mettono a punto una risposta secca. Per dire che «numerosi voti di fiducia, a partire da quello della svolta del 14 dicembre, hanno chiarito il quadro politico, con ripetute verifiche nelle sedi parlamentari». E per fissare un secondo punto. «Le nomine di governo sono giunte dopo queste diverse votazioni e nel pieno ed assoluto rispetto delle norme costituzionali e delle prerogative del Capo dello Stato». È un comunicato chiaro ma anche duro. Il gruppo di comando del Pdl prima di diffonderlo chiama Gianni Letta ed è proprio il sottosegretario a dare il suo via libera: può andare. Gli uomini più vicini a Napolitano provano a spiegare il senso del messaggio del capo dello Stato. Parlano di necessaria «chiarezza politico-istituzionale». E avvertono: quello che non si sa è come si configura oggi la nuova maggioranza. Sicuramente è diversa e può essere ancora diversa in futuro. C’è quindi bisogno di un atto di trasparenza politico-istituzionale. Dopo le 21 il dibattito si accende. Luciano Sardelli, capogruppo dei Responsabili, sfida apertamente Napolitano: «Il suo intervento improprio e intempestivo». Anche Storace è sferzante: «Come mai questo problema non si è posto quando i finiani hanno fatto un gruppo che al voto non si era presentato?».Berlusconi osserva silenzioso. Non commenta pubblicamente. Almeno fino a tarda sera. Ma nelle conversazioni private ripete più volte tre parole: «Sarà un boomerang». Il perché è dietro un ragionamento più complesso. Berlusconi sa che fino al 17 maggio il Parlamento è chiuso. E sa che un eventuale voto sarebbe dopo le amministrative. E allora tira le somme: «Ora vinciamo a Milano e a Napoli. A quel punto il rischio è un ulteriore allargamento». Sorride il premier e azzarda un numero confessato nelle ultime ore anche a Denis Verdini: «Possiamo arrivare a quota 335». Alla stessa ora parla anche Bossi: «Telefono a Silvio, così facciamo una nota congiunta. I Responsabili? Sono un gruppo che ha votato quindi il premier fa bene a premiarli». Parole che fissano un punto: la Lega questa volta è con il Cavaliere.
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