venerdì 1 marzo 2013
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«Le consultazioni iniziano quando sono insediati i presidenti delle Camere e i capigruppo...». Nelle fasi più delicate abbondano le precisazioni ovvie, con il chiaro fine di allontanare le dietrologie e il sospetto di un eccessivo attivismo del Colle. Ma Napolitano, in questi giorni, non si è chiamato in campo da solo. Invocano la sua presenza Berlusconi e Monti, fautori delle larghe intese sin dalla prima ora, e in fondo anche Bersani aspetta qualche indicazione per capire quali margini ha. Così, al rientro da Berlino, il Quirinale inizierà un giro di colloqui informali e privati per capire chi vuole andare al voto subito e chi vuole dare un governo al Paese, fosse anche per sei mesi o un anno (d’altra parte nella prossima primavera vanno al voto migliaia di Comuni e ci sono le europee, volendo si può pensare a un ampio election day).La situazione è troppo confusa perché resti senza regia. Non c’è uno straccio d’intesa sul tavolo. Le ipotesi (governissimo a due, a tre o a quattro, governo di scopo, governo di minoranza...) si accumulano senza ordine logico. E a fianco alle ipotesi si addensano i veti reciproci: il Pd non vuole il Pdl, M5S non vuole nessuno... Le cancellerie del mondo chiedono lumi. E da qui al prossimo passo istituzionale, l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, mancano quindici giorni. Un’eternità, se non ci saranno segnali chiari da tutte e quattro le forze entrate in Parlamento.Così Napolitano prende il boccino tra le mani. E inverte l’ordine delle priorità: «Prima i programmi», dicono nel suo staff. Cosa vuol dire? È una sintesi su cui si fonda un tentativo ardito: costruire una piattaforma di riforme economiche ed istituzionali in cui tutti possano riconoscersi. Tutti, anche Grillo. Una volta trovata la quadra sui contenuti, si passa alla formula e ai nomi.Gli esempi di quello che si può fare si sprecano: c’è da rimodulare l’Imu e la Tares e al contempo tenere i conti in ordine, c’è da avviare, insieme, un ormai inevitabile pressing sull’Ue perché allenti la linea del rigore e spinga sulla crescita. E poi, sulla spinta e con il pungolo di M5S, si può mettere mano a quella ampia rivoluzione nei costi della politica che il Paese attende da tempo.Il Colle ci crede. Sta ricevendo segnali distensivi da Grillo, anche se resta la difficoltà di integrarlo in un accordo organico. E se qualche giorno fa lo preoccupava molto la presenza M5S, ora teme maggiormente la pregiudiziale Pd su Berlusconi, cresciuta ancor di più alla luce dell’inchiesta sui senatori comprati durante il governo-Prodi. Prima del nuovo risvolto giudiziario, lo schema D’Alema ben calzava sull’ipotesi quirinalizia: la Camera ad M5S, il Senato agli azzurri e Palazzo Chigi a Bersani o un altro democrat.Se appaiono un rebus i profili per le presidenze delle Camere, se è un vero e proprio grattacapo la formula per dare un esecutivo al Paese, ancora più complicata è individuare l’identikit del nuovo presidente della Repubblica. Le maggioranze che il Pd potrebbe formare sono diverse, ma non possono essere sganciate dalla partita delle Aule e del governo. È il nodo più difficile da sciogliere. Ieri i pochi deputati presenti a Montecitorio si scervellavano in capannelli bipartisan. Ma niente. La soluzione non si vede. Eccetto una: la riconferma di Napolitano con un patto implicito a dimettersi tra due anni. Il presidente ha detto «no» più e più volte. Ma anche lui, come i partiti, dovrà misurare la sua volontà con le esigenze di questa fase storica.
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