mercoledì 8 settembre 2010
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Il Quirinale si tiene a debita distanza dalle fibrillazioni nella maggioranza, senza farsi coinvolgere in iniziative volte a ottenere le dimissioni di Gianfranco Fini dalla presidenza della Camera. Il comunicato dell’altra notte, dopo il vertice di Arcore, nel quale si annunciava che «Berlusconi e Bossi nei prossimi giorni chiederanno di incontrare il presidente della Repubblica per rappresentargli la grave situazione» non aveva turbato il sonno a Napolitano. Bastavano 12 ore, d’altronde, per confermare che non ce ne n’era motivo. Era il ministro degli Esteri Franco Frattini – da tempo legato da un ottimo rapporto istituzionale col Presidente –, ieri mattina, al Quirinale, a margine dell’incontro con la Presidente finlandese Tarja Halonen, a spiegargli che quel comunicato era stato male interpretato, anche per l’intento della Lega di accelerare verso il voto. Napolitano ha quindi ribadito a Frattini che «non c’è per ora nessun appiglio costituzionale, o di prassi, per poter intervenire», essendo peraltro in discussione non il comportamento di Fini a Montecitorio, ma le sue posizione politiche: «Ma io non intervengo, né ho strumenti per farlo, in quella che è e resta una dialettica interna alla maggioranza», ha spiegato il presidente. «Solo nel caso di una crisi che si aprisse in Parlamento sarei chiamato valutare la nuova situazione. Prima non ha senso parlare di elezioni».E anche Gianni Letta si è adoperato, al telefono, per smorzare sul nascere possibili incidenti col Quirinale. D’altronde su Fini Napolitano si era già espresso qualche settimana fa ricordando che «nessun contrasto politico deve investire impropriamente la vita delle istituzioni», auspicando anche che «cessi una campagna gravemente destabilizzante volta a delegittimare il presidente di un ramo del Parlamento». A Frattini non restava che andare a Palazzo Grazioli a riferire a Berlusconi.Per il resto una giornata tutto sommato "ordinaria", per Napolitano, scandita da interventi a sostegno dell’Anm e dell’impegno dei magistrati contro la ’ndrangheta e in aiuto di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata a morte per lapidazione in Iran. E conclusa dal ricevimento serale con la delegazione finlandese. Nessuna "unità di crisi" allertata, insomma, e anche la precisazione della mattinata («Nessuna richiesta di incontro è arrivata») apparsa come una replica piccata del Quirinale al documento di Arcore, in realtà era solo una garbata precisazione del portavoce Pasquale Cascella, di fronte alle domande, a quell’ora insistenti, sull’evolversi della situazione.Non è tutto a posto, naturalmente. Berlusconi continua a sperare che la moral suasion del Quirinale possa contribuire a rimuovere quella che, con Fini che resta a presidente della Camera, resta per lui un’anomalia. Ma sa bene che, non da oggi, per Napolitano l’anomalia vera è la mancata nomina dopo 4 mesi di un ministro impegnato a tempo pieno nella lotta alla crisi. E non è un mistero anche che la nomina che si andava profilando con la promozione a ministro di Paolo Romani non fosse molto gradita al Colle, per la sua provenienza dal mondo delle Comunicazioni e i rischi conseguenti di conflitti d’interesse. E dunque anche il rinvio della nomina, con la crescita nel frattempo di nomi alternativi (la bolognese Anna Maria Bernini e soprattutto il sottosegretario all’Economia Luigi Casero, che sembra ora favorito) può essere letta come un ulteriore tassello della situazione meno tesa fra Palazzo Chigi e Quirinale.Ed allora forse aveva visto giusto un uomo delle istituzioni come Nicola Mancino che di primo pomeriggio, al Pantheon, faceva le sue riflessioni: «Il Capo dello Stato? Forse sarebbe stato più giusto chiedere una visita, senza farglielo sapere dai giornali». E da ex ne aveva anche per il ministro dell’Interno Maroni: «Sollecitare le elezioni dal Viminale, non è, quella sì, una mancanza di stile istituzionale?».
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