lunedì 22 aprile 2013
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l senso di scampato pericolo è grande. In Europa e in Italia. La rielezione di Giorgio Napolitano rappresenta il primo segnale forte dopo due mesi di alta instabilità politica e gli applausi arrivati, anche da oltreoceano, per la scelta di continuità operata dal Parlamento non nascondono le difficoltà che, da domani, il primo presidente nella storia della Repubblica chiamato a succedere a se stesso, dovrà affrontare.È significativo che, un’ora dopo la scelta dei Grandi Elettori, i primi messaggi arrivati a Roma sulle attese della comunità finanziaria siano stati spediti da Washington, dai due italiani oggi più esposti sul fronte internazionale: il ministro dell’Economia Vittorio Grilli e il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Quali garanzie saprà dare il futuro «governo del presidente» all’Unione europea e ai mercati?
Un garante per gli investitori. «L’Italia – ha spiegato il titolare del Tesoro a margine dell’incontro del Fmi in corso negli Stati Uniti – ha bisogno di stabilità e chiarezza politica che sono alla base della strategia-Paese, in un momento complesso e di transizione in atto». In questo senso, poter garantire la nostra credibilità con una figura come quella di Napolitano, apprezzata ancor di più per come seppe gestire nel novembre 2011 la transizione politica nel momento in cui la speculazione si accaniva contro i nostri titoli di Stato, è un fatto certamente importante. Non a caso, il numero uno di Via Nazionale individua «nel patrimonio di saggezza e rettitudine che il presidente ha dimostrato in questi anni», il punto di partenza per il cammino che ci attende. Un percorso che, secondo Grilli, non potrà prescindere dalla cosiddetta agenda Monti. «Non vedo alternative radicali a questa strategia». Forse un maggior impulso alla crescita sarà necessario, così come un’attenzione prioritaria all’emergenza lavoro, tuttavia, secondo Via XX Settembre, «la prudenza fiscale e le riforme strutturali già messe in opera sono la base per il futuro». Le scadenze, messe da parte negli ultimi giorni di febbrile negoziato, incombono, a partire dalla presentazione del Piano nazionale di riforme chiesto dalla Commissione europea. «L’Italia ha bisogno di interventi precisi, organici e di ampio spettro». Parole nette, su questo versante, sono state pronunciate proprio da Visco, secondo cui all’esecutivo che verrà toccheranno «decisioni anche severe» per «risolvere le grosse difficoltà del Paese».La sfida aperta della crescita. Non è finito, dunque, il tempo dei sacrifici, anche se sarà indispensabile, rispetto all’ultimo anno, valutare con maggior attenzione il contesto sociale sempre più lacerato in cui il mondo politico si troverà ad operare. Quel che è certo, ha voluto ribadire il governatore di Bankitalia, è il fatto che «non è spendendo allegramente che si torna a crescere. Si cresce se si eliminano vincoli di bilancio». Tanto più che il «debito italiano non può certo salire». Vero è, ha constatato l’inquilino di Palazzo Koch, che «una lettura meno talebana dell’austerità» potrà rivelarsi «utile» nei prossimi mesi.Andrà senza dubbio sciolto il nodo problematico dei rapporti tra banche e imprese, che ha rappresentato negli ultimi mesi uno degli aspetti irrisolti della recessione: senza credito le aziende sono soffocate e, analogamente, senza garanzie le banche tendo a stringere i rubinetti nei confronti dell’economia reale. Per quanto gli compete, Visco ha ribadito ancora una volta che «le banche stanno facendo uno sforzo per coprire il più possibile con le riserve le poste deteriorate. Siamo sicuri che il combinato disposto della correzione dal lato delle banche e dell’azione di supervisione della Banca d’Italia sia in grado di mantenere il sistema finanziario robusto, competitivo e in prospettiva redditizio».Se solo venerdì il governatore insisteva sui rischi dell’incertezza politica, che «alla lunga pesa» aveva sottolineato, già ieri con la rielezione di Napolitano, lo sguardo si è soffermato sulla necessità di (ri)dare in tempi brevi fiducia al Paese e agli investitori. «È importante il recupero della fiducia: mancano gli investimenti delle imprese che sono legati alle prospettive di ripresa. Se viene meno la fiducia per motivi diversi dall’economia globale o dall’azione di finanza pubblica c’è un problema di sequenza. Senza investimenti non c’è ripresa. Le prospettive sono insufficienti se le incertezze politiche non vengono eliminate».Aver riempito la casella del Quirinale con un voto sufficientemente condiviso rappresenta un primo passo, che impedisce da domani l’effetto domino sui mercati. È già qualcosa e, per questo, in molti ieri sera hanno tirato un sospiro di sollievo.
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