mercoledì 3 luglio 2013
​La manutenzione stradale è la cenerentola degli investimenti. Il codice impone che si usi il 50% dei proventi delle sanzioni per prevenire gli incidenti, ma un "tesoretto" di 700 milioni finisce per coprire i buchi della spesa corrente. (Paolo Viana)
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Che fine facciano i soldi delle multe stradali è una vecchia storia e non la solleverebbe più nessuno se il 50% di quel denaro andasse a finanziare, come vuole la legge, la prevenzione degli incidenti. I numeri dicono che non avviene e c’è chi alza la voce. «Quanti comuni effettivamente investono i proventi delle contravvenzioni in sicurezza stradale? Pochi. E quei pochi li investono male»: è l’accusa di Toni Principi, direttore di Hauraton Italia. Che è parte in causa: il gruppo tedesco è leader mondiale nei sistemi di drenaggio delle acque e tra l’altro progetta canaline per raccogliere l’acqua piovana e impedire la formazione di pozzanghere e allagamenti lungo le strade garantendo la sicurezza degli automobilisti e dei loro passeggeri.Per il giudice, in genere, la responsabilità degli incidenti mortali è sempre dell’uomo. Principi, che fa parte del direttivo Aises (Associazione Italiana Segnaletica e Sicurezza), ricorda tuttavia che il 25% di queste tragedie si verifica in presenza di fondo bagnato e che l’80% dei centri urbani si accontenta di tombini vetusti. «Rifarli è certamente più oneroso e meno remunerativo – spiega – che installare nuovi autovelox, ma gli incidenti provocati da un manto stradale dissestato si riflettono sui premi assicurativi dei Comuni, mentre un’opera nuova ha dieci anni di garanzia».Il tema delle buche stradali è all’ordine del giorno in tutte le amministrazioni e viene salomonicamente risolto da sindaci e dirigenti allargando le braccia e inchinandosi al patto di stabilità interno. A Milano, dove gli asfalti appena rifatti si sbriciolavano sotto le ruote, l’assessore competente ha chiesto ai cittadini di vigilare sui cantieri... A Torino, dopo la morte di un uomo, il pm Guariniello ha disposto un monitoraggio "buca per buca"... Eppure, secondo uno studio di Maurizio Coppo, che ha retto la segreteria tecnica della Consulta nazionale sulla sicurezza stradale (Cnel) nel quinquennio 2006/2010 il gettito delle sanzioni amministrative per le violazioni del codice della strada è stato in media di 1.880 milioni all’anno, 1.480 dei quali irrogate dalla sola polizia locale e l’articolo 208 del codice della strada prevede che «una quota pari al 50 per cento» sia destinata alla sicurezza stradale: un tesoretto di oltre 700 milioni. La stessa legge, tuttavia, mentre impone di indirizzare almeno un quarto all’ammodernamento della segnaletica e un altro quarto ai controlli, non fissa alcuna quota per la manutenzione delle strade; anzi, inserisce asfalti e drenaggi nel lungo elenco delle «altre finalità», al pari dei corsi di educazione stradale e degli straordinari dei vigili urbani. In altre parole, i soldi delle multe vanno a riempire altre buche, quelle della spesa corrente degli enti locali, nota per la sua alta capacità di drenaggio.Nessuno se ne scandalizzerebbe, se lo studio di Coppo non dimostrasse che la norma è talmente inefficace che neanche l’aumento della pressione sanzionatoria riduce gli incidenti. Le maggiori città (Torino, Milano, Venezia, Trieste, Genova, Bologna, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Messina e Cagliari) hanno incassato 3,4 miliardi nel quinquennio 2006/2010. Guardando ai proventi medi annui, troviamo in testa Roma (270 milioni) e Milano (130). Bologna, quinta con 36,3 milioni è seconda dopo Catania (26 milioni) per tasso di mortalità (7,30%) mentre Roma è quarta (6,80%). Ancor più paradigmatico il caso di Genova: malgrado le multe, il tragico tasso cresce addirittura del 100%. «Anche se il fattore umano resta determinante - commenta Coppo - la maggior parte degli incidenti avviene sempre negli stessi punti della rete stradale: una curva mal disegnata o un asfalto deteriorato acuiscono gli effetti dei comportamenti trasgressivi, come riconosce la Commissione europea». L’Italia è uno dei peggiori investitori europei nella sicurezza stradale - la Francia spende nove volte di più - e alcune città non investono neanche il 50% di legge. Quelli che ottemperano, dirottano risorse importanti verso la voce "altro" che in genere la terza: «in quell’altro - sottolinea Coppo - troviamo diverse spese del welfare locale». Torino ha destinato ad "altro" il 37% delle risorse, contro il 40,2 della manutenzione stradale. Genova il 67%. Catania, maglia nera nella variazione dei tassi di mortalità, ben il 69,5%. «Abbiamo calcolato - spiega Coppo - che tra il 2008 e il 2010 gli investimenti specifici di queste risorse per rimuovere le situazioni di maggior rischio non hanno mai superato l’1,5% e quelli collegati direttamente alla sicurezza stradale il 16,2%. Le quote maggioritarie sono andate ad alimentare spese correnti, spese di gestione dei servizi, spese di funzionamento delle strutture tecniche e amministrative dei Comuni... La legge è rispettata, ma la spesa risulta inefficace. Non dimentichiamo che la manutenzione della rete manca spesso di uno studio dei fattori di rischio, che pertanto non vengono rimossi dai lavori effettuati. La stessa mancanza di una progettualità riguarda la pressione sanzionatoria, che aumenta indipendentemente dall’andamento delle trasgressioni, accreditando l’idea che risponda più ad esigenze di cassa che a una vera e propria politica della sicurezza stradale».
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