giovedì 8 febbraio 2018
Presentato «Fuori Campo» sulle condizioni di vita delle migliaia di esclusi dal sistema di accoglienza «ampiamente inadeguato». Edifici occupati e baracche senza acqua, elettricità, assistenza medica
Da agosto a novembre 2017, circa 150 richiedenti asilo, per lo più dal Pakistan, vivevano nella galleria “Bombi”, nel centro di Gorizia. I richiedenti arrivavano di sera per poi allontanarsi la mattina presto.   (Foto Alessandro Penso/MSF)

Da agosto a novembre 2017, circa 150 richiedenti asilo, per lo più dal Pakistan, vivevano nella galleria “Bombi”, nel centro di Gorizia. I richiedenti arrivavano di sera per poi allontanarsi la mattina presto. (Foto Alessandro Penso/MSF)

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Da Nord a Sud, nelle città come nelle campagne, nelle zone di frontiere di Ventimiglia, Bolzano, Como, Pordenone. Migliaia di richiedenti asilo e rifugiati - migranti regolari - sopravvivono in condizioni precarie dopo l'uscita dal circuito di accoglienza al termine della procedura di riconoscimento. Senza avere acquisito i requisiti minimi per un autonomo inserimento: né lingua, né formazione professionale. E almeno 10 mila persone - uomini giovani, ma anche donne - a volte incinte - e minori sopravvivono in condizioni drammatiche: in edifici fatiscenti occupati da cui vengono sgomberati senza un'alternativa, in baraccopoli nelle aree agricole a rischio incendio, sotto ponti e in gallerie. Più della metà senza acqua corrente né elettricità. E nell'impossibilitati di accedere all'assistenza sanitaria perché privi di residenza.

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Il secondo Rapporto «Fuori campo» redatto da Medici Senza Frontiere fotografa una realtà drammatica. Le persone incontrate in 47 insediamenti informali dagli operatori e volontari di MSF sono in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale e umanitaria in un monitoraggio costante compiuto nel 2016 e nel 2017. «Oltre la metà di queste persone, circa il 55%, vive in dei luoghi dove non c'è un punto d'acqua potabile nè l'energia elettrica», spiega il direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia, Gabriele Eminente, alla presentazione del Rapporto che si tiene questa mattina a Roma. «Sono persone che si scaldano con quello che possono e che hanno un enorme problema di accesso alle cure» aggiunge Eminente, precisando che «magari sono persone che hanno un lavoro, nei bar, nei mercati o nei ristoranti delle nostre città, ma che poi sono costrette a vivere in quelle condizioni perchè non hanno una abitazione».

I 47 luoghi informali sono stati censiti in dodici regioni: Trentino Alto-Adige (1), Calabria (5), Campania (2), Emilia Romagna (1), Friuli Venezia-Giulia (4), Lazio (11), Liguria (1), Lombardia (3), Piemonte (5), Puglia (7), Sicilia (6), Toscana (1). Nel 53% dei casi questi siti informali sono edifici abbandonati o occupati, nel 28% sono luoghi all'aperto, nel 9% si tratta di tende, nel 4% di baracche, in un altro 4% di casolari e nel 2% di container. Il 53% è abitato soltanto da uomini adulti, il 13% da uomini e donne adulte, il 34% da adulti con minori. In 17 insediamenti è stata riscontrata la presenza di minori al di sotto dei 5 anni. Per quanto riguarda infine le nazionalità, ci sono persone provenienti dall'Africa sub-sahariana e dal Corno d'Africa, ma anche dalla Siria, dall'Iraq, dal Pakistan dall'Afghanistan, appena arrivati in Italia o presenti nel nostro Paese da anni.

In alcuni insediamenti si riscontra anche la presenza di cittadini italiani, che condividono con richiedenti asilo e rifugiati le medesime condizioni di marginalità e vulnerabilità. Medici Senza Frontiere sottolinea che «soprattutto nelle città, a seguito delle recenti misure sulla sicurezza e il decoro urbano, gli sgomberi forzati in assenza di soluzioni abitative alternative, stanno determinando la frammentazione degli insediamenti informali e la costituzione di nuclei ristretti di migranti che vivono in luoghi sempre più marginali».

Un focus viene dedicato alla situazione di Ventimiglia. Nella cittadina italiana al confine con la Francia periodicamente restano bloccati migranti che cercano di varcare la frontiera, spesso per ricongiungersi a famigliari parenti. Medici Senza Frontiere ha intervistato 287 adulti migranti a Ventimiglia tra il 28 agosto e il 14 settembre 2017: 131 hanno dichiarato di aver provato ad attraversare il confine con la Francia, 90 dei quali tra una e tre volte, 25 tra quattro e sette volte e ben otto persone per più di dodici volte. Il 23,6% di chi ha tentato il passaggio del confine ha dichiarato di aver subito almeno un atto di violenza da parte di uomini in uniforme, italiani o francesi. E dalla fine del 2016 più di venti persone sono morte nel tentativo di lasciare l'Italia, varcando la frontiera per arrivare in Francia, ma anche in Svizzera o Austria: investiti mentre camminavano in autostrade o gallerie, fulminati nel tentativo di viaggiare sopra le carrozze dei treni. Solo al confine con la Francia ne sono deceduti 15. «Molti - viene precisato - hanno perduto la vita sulle montagne, lungo il cosiddetto "Passo della morte", usato nel passato da ebrei in fuga, partigiani e contrabbandieri».

Medici Senza Frontiere formula una serie di proposte alle autorità competenti: riformare il sistema di accoglienza per richiedenti asilo passando da un sistema emergenziale (i Cas) a uno ordinario; prevedere all'uscita dei centri veri percorsi di inclusione sociale a partire dall'inserimento lavorativo e abitativo; fermare gli sgomberi senza soluzioni alternative e rafforzare gli interventi umanitari nei confronti anche dei migranti in transito; favorire l'accesso al sistema sanitario, eliminando le barriere burocratiche amministrative che ostacolano l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale; fermare infine ogni forma di criminalizzazione della solidarietà, escludendo il soccorso e l'assistenza dal reato di favoreggiamento dell'immigrazione irregolare.

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