martedì 12 agosto 2014
Nato a San Benedetto del Tronto il 1º marzo 1942, era stato presidente della Corte costituzionale dal 10 marzo al 6 novembre 2005.  Il cordoglio di Napolitano.
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"Capotosti lascia un vuoto di pensiero. La sua attenzione alla comunicazione era fondata su una solidità di pensiero, mentre oggi si tende piuttosto a lanciare messaggi slegati da riflessioni strutturate, fondati solo sull’emotività, in stile messaggio pubblicitario. Proprio nei momenti di crisi come questi si manifesta l’esigenza di voci autorevoli come la sua». A ricordare la statura intellettuale e morale di Pier Alberto Capotosti, ex presidente della Corte costituzionale scomparso ieri a Cortina, è l’amico e collega Cesare Mirabelli, anche lui ai vertici della Consulta.Capotosti, nato a San Benedetto del Tronto (Ap) il 1° marzo 1942, aveva 72 anni. È mancato nella notte tra lunedì e martedì. Giurista di spessore, uomo fedele alle istituzioni, era stato presidente della Consulta dal 10 marzo al 6 novembre 2005. Alla Consulta arrivò su nomina di Scalfaro nel novembre 1996. Dal 1994 aveva ricoperto il ruolo di vicepresidente del Csm. Professore emerito di Diritto costituzionale all’Università «La Sapienza» di Roma, era autore di numerosi saggi, dedicati anche a temi di stretta attualità, dalla legge elettorale alle riforme. La camera ardente oggi dalle 17 alle 19 alla Corte Costituzionale. Molti i messaggi di cordoglio, a cominciare dal presidente della Repubblica, Napolitano, e del Senato Grasso.«Alla fine degli anni ’60 all’università – ricorda Mirabelli – eravamo un gruppo, tra cui Antonio Baldassarre e Carlo Mezzanotte, formati all’Istituto di diritto pubblico. È singolare che pur da discipline diverse siamo arrivati tutti alla Consulta. Capotosti era un moderato, non perché mancasse di convincimenti: aveva anzi forti convinzioni personali, un cattolico che non sbandierava la sua appartenenza, senza arretrare sui principi». Una persona «aperta al dialogo, non di parte: non è un caso che abbia scritto con Paolo Ruffilli "Il cittadino come arbitro". Per lui la Costituzione era il riferimento forte, non manipolabile, da difendere in modo non ideologico, ma ideale, dalle derive leaderistiche. Aveva un senso profondo della cittadinanza. Tanto da esprimere dubbi sulla rappresentatività di un Parlamento eletto con una legge, il "porcellum", criticata dalla Consulta». Umanamente era una persona «dalla straordinaria delicatezza e umanità, generoso e legatissimo alla moglie».
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