giovedì 26 luglio 2012
​Il presidente della Repubblica annuncia la morte del suo collaboratore, intercettato mentre parlava con Mancino. E accusa una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose. Un infarto la causa della morte.
La speranza di Marco Tarquinio
LA VICENDA INTERCETTAZIONI: Bene di tutti di Marco Tarquinio | Alt del Colle ai pm di Palermo: parli la Consulta | La scelta di intervenire a tutela delle istituzioni | «Nulla da nascondere, basta insinuazioni»
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Sono le 17 e 20 quando le agenzie di stampa rilanciano la nota del Quirinale. Venti righe con un incipit accorato: «Annuncio con animo sconvolto e con profondo dolore - scrive il capo dello Stato - la repentina scomparsa del dott. Loris D’Ambrosio, prezioso collaboratore mio come già del mio predecessore, che ha per lunghi anni prestato alla Presidenza della Repubblica l’apporto impareggiabile della sua alta cultura giuridica». E ancora: «Mi stringo con infinita pena e grandissimo affetto alla consorte, ai figli, a tutti i famigliari e al mondo della magistratura e del diritto». Il consigliere giuridico del Quirinale, che soffriva di problemi cardiaci, è stato stroncato da un infarto intorno alle 15.30. La notizia non è ancora trapelata, ma sul Colle Giorgio Napolitano soffre per la scomparsa di un collaboratore stimato al quale, negli ultimi mesi, è stato ancor più vicino. E così, con quell’indicativo in prima persona («Annuncio...»), assume su di sé il dignitoso ufficio di comunicare al Paese la scomparsa di un «infaticabile e lealissimo servitore dello Stato democratico», ricordando come D’Ambrosio sia stato «impegnato in prima linea anche al fianco di Giovanni Falcone nel costruire più solide basi di dottrina e normative per la lotta contro la mafia», così come contro il terrorismo». E come abbia ricevuto «attestati di stima non solo professionale ma innanzitutto morale». Parole che preludono alla seconda parte, durissima, rivolta a coloro che, mentre D’Ambrosio era in vita, non gli avevano risparmiato attacchi e critiche per il contenuto delle intercettazioni con l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, finite nel fascicolo della procura di Palermo e poi pubblicate da alcuni giornali. Ad esse erano seguite indiscrezioni su quelle telefonate «captate» fra lo stesso Napolitano e Mancino, sulla cui gestione da parte dei pm di Palermo il Colle ha sollevato il conflitto d’attribuzioni davanti alla Consulta. Così, Napolitano non nasconde la sua indignazione: «Insieme con l’angoscia per la perdita gravissima, atroce è il mio rammarico per una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose cui era stato di recente pubblicamente esposto, senza alcun rispetto per la sua storia e la sua sensibilità».Parole che chiamano in causa, senza citarlo, qualche quotidiano e qualche esponente politico. Ne è conferma indiretta la controbotta del presidente dell’Idv, Antonio Di Pietro, che esprime «cordoglio e rispetto per la morte improvvisa», ma respinge «al mittente ogni strumentalizzazione che ne viene fatta, quasi a voler far credere che la colpa sia di chi ha criticato il suo operato e non di chi ha tentato di sfruttare il suo ruolo». Nel mondo politico si susseguono sconcerto («Mamma mia...», sbotta a caldo Pier Luigi Bersani) e cordoglio. Gaetano Quagliariello e Pier Ferdinando Casini auspicano una riflessione «sulle ingiuste sofferenze che l’uomo ha patito in queste ultime settimane» e c’è perfino chi, come Daniela Santanchè, si spinge a parlare di un «nuovo morto fatto dai Pm». Ma il sentimento più ricorrente nelle parole di chi ha lavorato con D’Ambrosio, ad iniziare dagli ex guardasigilli, Diliberto, Castelli e Alfano, e da quello attuale, Paola Severino, è la sofferenza per la perdita di un «servitore dello Stato». Sofferenza che non abbandona Napolitano, il quale, giunto a Londra alla vigilia dell’apertura delle Olimpiadi, dirà in serata agli atleti azzurri: «Non resto a cena al Villaggio, non voglio che il mio stato d’animo pesi sulla vostra allegria».
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