venerdì 21 dicembre 2012
Il premier a Melfi: «Irresponsabile dissipare i sacrifici fatti». «Siamo solo all’inizio delle riforme strutturali Il cambiamento Fiat emblematico delle possibilità del Paese».
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Se non è stato l’annuncio della discesa in campo, poco ci è mancato. Mario Monti a Melfi, nell’impianto Fiat che è il simbolo produttivo del Meridione: quasi un anticipo di campagna elettorale. Il Professore lo sa e gioca le sue carte: incassa il sostegno (ma non è una sorpresa) di "casa Fiat" e salda l’asse con Sergio Marchionne, riprendendo una sua frase per lo slogan che segna la giornata: il Prof afferma che da Melfi «parte un’operazione che non è per i deboli di cuore, ma noi sappiamo che può emergere un’Italia forte di cuore», un’Italia che chiede «un linguaggio di verità» e che non vuole «ripiombare in uno stato nirvanico». Perché sa che ora è «irresponsabile dissipare i tanti sacrifici» che i cittadini hanno sopportato nel 2012, annota il premier, con «una disponibilità non registrata» in altri Paesi e che in futuro «potrebbero essere facilmente spazzati via».È il linguaggio dell’ottimismo quello sciorinato da Monti davanti a una platea di tute bianco-grigie (questi i colori usati per gli operai della Sata) che, complice l’ospitalità lucana, gli riserva solo applausi, fatti apposta per "riscaldare" i suoi progetti politici. E quello che un mese fa sarebbe parso un intervento tipicamente "montiano", assume oggi un tono decisamente politico, a partire dalla considerazione che la svolta data dalla Fiat a Melfi «non è qualcosa di magico, ma di emblematico delle molte possibilità» che l’Italia ha. E ancora: «Siamo solo all’inizio delle riforme strutturali». E soprattutto il passaggio in cui afferma che al governo tecnico «è stato detto: "guardatevi bene dal fare ciò che non vi è stato chiesto"», cioè «spiegare che con il cambiamento della mentalità» questo Paese ricco, ma bloccato, può svoltare. Eccolo, il messaggio del Monti che guarda alle elezioni, anche negli atteggiamenti, in parte insoliti: la cortesia è quella abituale (anche se non risponde alle domande dei cronisti), ma stavolta è lui quasi a cercare le telecamere, a non rifuggire gli operai che lo braccano con macchinette fotografiche e telefonini. Si mette in posa anche per uno scatto destinato al profilo twitter del governo.Il cuore della giornata è però un altro: il duplice, reciproco endorsement fra lui e la Fiat. Ad accoglierlo ci sono John Elkann e Sergio Marchionne. Il presidente auspica che «la stabilità ritrovata con Monti non venga meno». Ancor più "caloroso" è l’ad in maglioncino: «Ringraziamo Monti, ha fatto cose ammirevoli», la sua agenda «mostra coraggio e lungimiranza», segnando una svolta che non a caso Marchionne contrappone ai «tanti anni passati a inseguire promesse e chimere». Il capo di un governo che pure in passato ha criticato l’incertezza sull’impegno di Fiat in Italia (e colpisce a Melfi l’assenza del ministro dello Sviluppo, Passera) ricambia dicendo che con l’investimento fatto «oggi vince l’Italia attiva, che sa rimboccarsi le maniche» e «che sta ricostruendo in sé anticorpi giusti». Un Paese che «tredici mesi fa aveva la febbre, anche alta, e non si poteva curare con un’aspirina, serviva una medicina amara non facile da digerire, ma assolutamente necessaria». Il "dottore" Monti finisce qui. Giusto il tempo di un rapido giro fra le linee produttive, in una calca che travolge le fragili barriere protettive messe dall’organizzazione. «Presidente, presidente», lo chiamano molti. Se son voti, fioriranno.​
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