mercoledì 10 agosto 2022
Ieri un nuovo crollo, si è staccata una parete del Monte Pelmo. L’alpinista: «La sofferenza delle Alpi non è una sorpresa: è il permafrost che non tiene più. Chiuderle non è la soluzione»
Reinhold Messner, il primo alpinista al mondo a conquistare tutti gli “8mila”, ben 14, in un'immagine d'archivio

Reinhold Messner, il primo alpinista al mondo a conquistare tutti gli “8mila”, ben 14, in un'immagine d'archivio - Boato

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Un mese fa il distacco di una calotta di ghiaccio sulla Marmolada che ha causato 11 morti, negli stessi giorni il crollo di uno spigolo roccioso della Moiazza, sopra Agordo e poi in Val Fiscalina, laterale dell’alta Val Pusteria. Ieri mattina è toccato al Monte Pelmo, denominato per la sua forma "El caregon del Padre eterno": una frana di rocce e sassi da quella stessa pareti in cui, il 31 agosto 2011, un analogo crollo investì due soccorritori che si stavano calando per aiutare due alpinisti incrodati. Nessun danno, per fortuna, né a persone né a cose. «Abbiamo sentito un forte boato, mentre in rifugio si faceva colazione – testimonia il gestore del rifugio Mario Fiorentini –, siamo usciti ed abbiamo visto una immensa nuvola di polvere. Là sotto, per fortuna, non transita alcun sentiero». Sono intervenuti il Soccorso alpino, i vigili del fuoco. Un altro incubo è passato. «Sabato, passando di là, avevo notato due distacchi recentissimi». Chi parla è Reinhold Messner, il primo alpinista al mondo a conquistare tutti gli “8mila”, ben 14.

Prima il ghiacciaio della Marmolada, adesso il Pelmo. Le Dolomiti stanno andando in pezzi?
Nessuna sorpresa. Questa è la storia delle montagne e delle Dolomiti in particolare. Cinquant’anni fa avevo visto la possibilità di fare una via nuova, sul Pelmo: ho rinunciato a seguito di distacchi, anche quella volta.

Il 31 agosto del 2011 c’erano già stati due morti...
È una parete molto esposta al cambiamento ghiaccio-non ghiaccio, caldo-non caldo. È tutto conseguenza del permafrost, quella specie di collante che tiene unità la roccia. Con le temperature che ci sono state, anche ai 3mila metri, il permafrost si scioglie, si abbassa di quota, non riesce a tenere insieme questi materiali. Cadono pezzi grandi come case, alti anche come un grattacielo. È di nuovo la dimostrazione che il caldo globale fa crollare le nostre montagne.

Secondo le rilevazioni di questi giorni dell’Arpa veneto il permafrost si è abbassato di un metro.
Il permafrost sulle Dolomiti, per la verità, è da anni che sta cedendo. Solo facendo un giro lungo le strade e osservando le pareti ho riscontrato in almeno un centinaio di queste ultime un distacco o un cedimento. Dieci giorni fa dalla parete nord del Civetta è sceso un pezzo, alto 400 metri, largo 50 metri e profondo altri 50. Una torre enorme. La polvere giù in valle, ad Alleghe, l’hanno vista per una settimana. E non sono certo gli alpinisti a distruggere le montagne.

Perché qualcuno lo sostiene?
Qualcuno sì. La distruzione invece arriva dalle grandi città, dal traffico, dalle emissioni in atmosfera provocate dalle grandi città. Non facciamo del male alla montagna, anche se mettiamo un po’ di chiodi per salire.

Dopo la tragedia della Marmolada c’è chi ha subito proposto di chiuderla, la montagna. Bandierine rosse, semafori… Lei che ne pensa?
Sciocchezze. Le montagne devono restare libere e chi le frequenta deve essere consapevole dei rischi a cui va incontro. Ci sono fior fiore di bollettini che informano quotidianamente. Non mancano le guide che segnalano anche le fragilità.

I cambiamenti climatici lei li ha visti coi suoi occhi, non solo in Italia.
Sono una realtà sotto gli occhi di tutti. Usiamo da 150 anni l’energia fossile ad un prezzo troppo basso, siamo diventati abbastanza ricchi con questa economia e adesso ne subiamo le conseguenze. Il caldo globale è fatto più o meno da noi. Però bisogna anche vivere, bisogna andare avanti. Non si può dire: adesso il mondo crolla e abbandoniamo la montagna. Dobbiamo fare in modo di sopravvivere, riscoprendo la sostenibilità. Non è saggio fare una casa e dopo vent’anni buttarla giù e farla di nuovo perché costa troppa energia. Ecco perché sul Monte Elmo sto realizzando un museo in un edificio dove quarant’anni fa c’è stato un grande investimento. Perché abbatterlo e ricostruire? No, risparmiamo cemento armato, acciaio, energia. Sul monte Rite, sopra Cibiana, in Cadore, abbiamo recuperato, sasso dopo sasso, un forte della Prima guerra mondiale e l’abbiamo trasformato in un altro museo. Ai piedi delle Dolomiti ci sono decine di migliaia di case vuote. Perché non riattarle e metterle sul mercato dell’ospitalità, magari come albergo diffuso?

Le prossime Olimpiadi come possono trasformarsi in una opportunità?
Si dice che i prossimi saranno i Giochi della sostenibilità ambientale, ma anche sociale ed economica. Si colga questa opportunità, anche sul piano degli investimenti: anziché mettere 20 milioni nel villaggio olimpico, in parte da smantellare, perché non si recupera un pari valore di edifici abbandonati e lo si trasforma in camere per ospiti ed atleti?

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