sabato 25 novembre 2017
Sono un milione e mezzo le lavoratrici vittime di abusi secondo l’Istat, ma è solo la punta dell’iceberg. L’emergenza si vive nel silenzio, per paura d’essere licenziate (o mai assunte)
Molestie, ricatti e stalking... «Attenta, così perdi il lavoro»
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Sonia guarda la tv e sente raccontare le storie di molestie nella Roma bene del cinema e dei provini. «Vedi, io la mia di storia non la posso raccontare nemmeno adesso». E di nuovo si vergogna, si sente in colpa. “Molestie sul lavoro”, la definizione sul vocabolario non esiste. Ci sono quelle alle aspiranti attrici, le abbiamo sentite. Ci sono quelle alle impiegate, alle commesse, alle manager: bisogna contare fino a 1 milione e 403mila. In tante, secondo l’Istat, le hanno subite. Si tratta del 9% delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione.

Ed è ancora niente rispetto alla realtà, visto che se a denunciare le violenze “generiche” sono appena il 10% delle donne, in questo caso si scende a un drammatico 0,7%. Per la paura di perderlo, il lavoro. Tocca anche a Sonia, allora, raccontare. Ha 45 anni, da 27 vive in Italia, dove s’è trasferita dall’Ucraina. Ha studiato, si è specializzata, è diventata infermiera professionista. Sulla sua strada di donna – donna, e infermiera – ha incontrato un primario famoso, in una grande città del centro Italia. Lui l’ha valorizzata professio- nalmente, attestandole la sua stima e dandone ottime referenze in diverse strutture. Poi ha cominciato anche a corteggiarla, corrisposto, e ne è nata una storia. «La mia ingenuità, il fatto che lo amassi, io adesso faccio fatica a capirlo...». La storia sboccia, poi finisce. Perché il primario – si scopre – è sposato. I due restano amici.

Qualche mese dopo Sonia riceve un’offerta di lavoro allettante, in una grande clinica privata. A gestirla è il primario, che nuovamente le attesta la sua stima e le propone un contratto a tempo indeterminato come caposala. Per Sonia, che ha avuto un figlio giovanissima ed è precaria, è un sogno: accetta. «Il lavoro, però, era una scusa. L’ho capito dopo. Ingenua, di nuovo, stupida io...». Dopo qualche mese il primario ricomincia a corteggiare Sonia, e anche la storia ricomincia. Stavolta però le cose prendono una brutta piega: «Lui diventa possessivo, comincio a trovarlo tutti i giorni alla stazione del treno che devo prendere per raggiungere la clinica – racconta –. Esige che io salga in macchina, perché non vuole che io incontri nessuno, mi vuole tutta per lui». Sonia è innamorata, però, e pensa che quello sia “solo” amore. L’amore, invece, diventa stalking. Peggio. Un giorno, scesa dalla macchina poco distante dalla clinica (dove lavora anche la moglie del primario, che «non deve vederci insieme» le ripete lui), ad aspettare Sonia c’è il figlio del suo amante.

La insulta, comincia a spingerla e la aggredisce brutalmente, con calci e pugni: «Tu hai rovinato mio padre, mi dice, e mi picchia e ancora mi picchia». È l’inizio delle violenze. Sonia va in Pronto soccorso diverse volte, ma sta zitta «perché ho paura di perdere il lavoro», e ha paura anche di dirlo al primario, perché di suo figlio si tratta. Alla fine, dopo aggressioni e aggressioni, glielo confessa. E il primario dallo stalking in un batter d’occhio passa all’indifferenza, per poi licenziarla. Sonia, distrutta fisicamente e psicologicamente, si rivolge a un legale e al sindacato. Che la tutela, la aiuta. Impugna il licenziamento, ottiene una conciliazione e un piccolo riconoscimento per quello che ha dovuto subire: «Devo ancora capire se è una vittoria o il sigillo del mio fallimento. Perché ho fallito, perché è stata colpa mia...».

La psicologa che la segue le ripete di no, non è colpa delle donne. Ma ci vorrà tempo per curare quella ferita e farle capire che quello che ha subito è stata violenza, molestia, sopruso. Sonia e le Sonia d’Italia, un altro volto del 25 novembre.

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