venerdì 22 aprile 2016
​L’odissea del piccolo siriano accolto nel nostro Paese: ora sarà curato.
Mohammed, un sorriso chiamato Italia
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Arrivato in Italia, il sorriso di Mohammed, si è illuminato di luce nuova che prova a rischiarare il futuro. La speranza, per un ragazzino siriano di 12 anni, è una conquista che vale la pena di raccontare fino in fondo. Un sorriso accattivante, capace di offuscare anche il dolore di quella malformazione congenita alle vie urinarie, di quel ventre da sempre troppo gonfio. Per questo, averlo ora in Italia, per Support syrian childrene per la rete di associazioni che hanno condiviso il progetto, è già una vittoria dal valore inestimabile. Il primo incontro – durante una “missione” nel 2013 – con quel bambino sdraiato su un lercio tappeto di una tenda con la pancia che pare esplodere, è di quelli che non ti lasciano più dormire. E poi quella foto, divenuta subito immagine simbolo sui social network, che pare gridare per l’ipocrisia di chi poi si rassegna a un destino già segnato. Di qui la decisione di ritornare, di ricercare Mohammed Alhuseyin in quell’enorme campo profughi in Turchia, lungo il confine siriano. Un urlo nella coscienza, che diventa una sfida. «Abbiamo girato tanto, con la foto in mano: ricordo la ricerca spasmodica di questo ragazzino di una decina di anni in territorio ostile, sconosciuto e pericoloso. E la disperazione quando cominciava a farsi buio», racconta Arianna Martini presidente di Support syrian children.Una ricerca fino a quell’ultimo spiazzo quasi dimenticato: Mohammed, è lui. Ritrovato. La situazione, un anno dopo, era decisamente peggiorata e tuttavia, a giudizio della pediatra giunta anche lei fino all’ultima tenda, ancora curabile. Di certo non in un campo profughi. Un colloquio con la famiglia – i genitori e 5 fratelli – chiarisce subito le intenzioni di Support syrian children e fa partire la gara di solidarietà. Passa parola, piccole donazioni personali, la rete con altre associazioni. Un mese dopo, nel novembre del 2014, arrivano al campo i primi farmaci e i cateteri. Poi una interminabile trafila burocratica, per avvicinare Mohammed alle cure. Prima, grazie all’International organization for migration (Iom), i volontari italiani riescono ad ottenere la tessera medica per far accedere Mohammed come profugo siriano ai servizi sanitari turchi. All’ospedale più vicino, quello di Adana, gli esami mostrano un quadro clinico complicato: una insufficienza renale cronica che necessita di cure appropriate e la prevenzione in un ambiente igienico sanitario adeguato. Occorre un intervento radicale, perché la mancanza di acqua potabile e la distanza dall’ospedale rendono incompatibile la permanenza di Mohammed al campo. Così, grazie a una nuova mobilitazione in Italia, viene individuato un appartamento di 50 metri quadri in cui poter trasferire Mohammed con tutta la famiglia. Intanto gli accertamenti, per quanto ancora approssimativi, danno una diagnosi importante: la sindrome del ventre a prugna ( prune-belly syndrome) che richiede delle cure molto specializzate e una malformazione congenita alle vie urinarie. Il seguito è una scelta obbligata, per una nuova scommessa di solidarietà: la Onlus “Fondazione Luchetta” si fa carico dell’ospitalità, un’altra Onlus locale delle spese sanitarie in Italia mentre Mohammed è preso in cura dall’ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste. Intanto la rete dei volontari si mette all’opera per avere i documenti necessari all’espatrio di Mohammed e del padre: mesi per avere prima un passaporto e poi un visto per cure mediche. Il 6 aprile il volo da Adana e il 7 aprile la prima alba in Italia, tre anni dopo il primo incontro. Tre anni in cui, confida Arianna Martini, «non so cosa si è mosso nell’universo, quale energia ha trafitto e illuminato i nostri giorni da lì in poi». Così, nella tragedia della guerra, «un destino di morte è stato trasformato in un cammino di speranza». Gli accertamenti procedono, ma l’interrogativo di tutti, osservando il sorriso di Mohammed, è sempre lo stesso: terminate le cure, dopo un intervento chirurgico che ora pare inevitabile, come garantire in futuro cure adeguate? Si cerca altra  energia, per trafiggere nuovi giorni.
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