giovedì 7 febbraio 2013
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Le carceri italiane scoppiano, le condizioni di vita sono spesso disumane e sull’Italia pesa la condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha accusato il nostro paese di violare i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di 3 metri quadrati a testa. Il sovraffollamento degli istituti di pena, 22mila detenuti in più rispetto alla capacità reale, il dato peggiore in Europa, è una situazione che sulla carta potrebbe venire risolta semplicemente applicando le misure alternative o la detenzione domiciliare. Sono 24mila i detenuti che ne avrebbero diritto, perché hanno da scontare una pena residua inferiore ai tre anni, ma sono pochi quelli che vi accedono per colpa di ostacoli normativi. Luigi Pagano, per 16 anni direttore di San Vittore e attualmente vicepresidente del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è convinto che la soluzione sia a portata di mano. Basterebbe applicare con maggiore incisività le norme che già esistono ma che sono sinora rimaste lettera morta. «Diecimila detenuti hanno pene inferiori ad un anno, già intervenendo su questi, si farebbe un grande passo avanti» spiega. E non si tratta solo di una questione di numeri. «Le misure alternative sono l’unica soluzione efficace contro il sovraffollamento, sono quelle che abbattono la recidiva del 70-80%, nel tempo che si passa in carcere al massimo si può peggiorare» aggiunge Pagano. Un investimento dal punto di vista sociale, quindi, perché favorisce un pieno reinserimento. I margini di manovra ci sono per trasformare le pene minori in un’opportunità, attraverso soprattutto l’affidamento ai servizi sociali. «Penso ad esempio ai lavori socialmente utili per reati legati al codice della strada» aggiunge Pagano. Altra strada da percorrere per quei detenuti con pene più lunghe, quella del lavoro in carcere, sino ad oggi un "lusso" riservato a pochi. Un modello da seguire è quello di Bollate dove la stragrande maggioranza di carcerati lavora (dentro e fuori dal carcere) e rientra in cella solo per dormire. «Il risultato è che la recidiva per chi esce da quella struttura è solo del 10% a fronte di percentuali del 90% di chi trascorre la detenzione in completa inattività come purtroppo avviene a San Vittore che essendo una struttura vecchia offre poche possibilità su questo fronte». I numeri parlano chiaro: il 60% dei detenuti è recidivo, il 50% ha tra una a quattro carcerazioni precedenti, che in pochi casi (350 in tutto) salgono sino a 15. I dati forniti dal Dap scattano una fotografia dei detenuti presenti nelle carceri italiane: 24mila sono stranieri, 15mila sono giovani al di sotto dei 30 anni, 1581 gli ergastolani.Sulla questione delle misure alternative è intervenuta anche Paola Severino, ministro della Giustizia che ha ricordato come il ddl predisposto dal governo Monti su questa materia non sia arrivato al termine del suo iter parlamentare per un soffio. «Avrebbe tracciato un importante solco nella direzione delle misure strutturali che ci chiede la corte europea dei diritti dell’uomo».
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