domenica 8 dicembre 2019
Il presidente emerito della Corte costituzionale: è necessario assicurare il diritto alla libertà di culto, anche in luoghi deputati, ma sempre in rispondenza a un'esigenza collettiva
Cesare Mirabelli (Siciliani)

Cesare Mirabelli (Siciliani) - Siciliani

COMMENTA E CONDIVIDI

Il diritto ha le sue ragioni che una certa politica non conosce. La parafrasi pascaliana torna buona per sintetizzare il giudizio del presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli sulla sentenza di giovedì scorso, con la quale la Consulta ha dichiarato in contrasto con l’articolo 19 della Costituzione due commi della legge regionale lombarda in materia di localizzazione dei luoghi di culto. Attenzione, di tutti i luoghi di culto, anche se l’intenzione dichiarata della giunta a trazione leghista era quella di evitare la costruzione di nuove moschee. Non a caso, qualche giornale ha parlato di un presunto via libera alla 'moschea fai-da-te' e alcuni politici hanno criticato la sentenza. Uno in particolare, l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, si è spinto a ironizzare su una seconda «Consulta islamica» oltre quella già esistente come organo consultivo proprio del Viminale.

Professore, ci spieghi che cosa ha detto davvero la Corte.

Ha detto innanzi tutto che bisogna assicurare il diritto alla libertà religiosa e di culto, che comprende anche la libertà e la possibilità di svolgere riunioni e attività religiose e di culto in luoghi deputati a questo scopo. Ciò, naturalmente, in rispondenza non a un’esigenza individuale, ma di una parte della popolazione. Si tratta infatti di un diritto costituzionale collettivo.

Un diritto che è stato giudicato «irragionevolmente compresso» dalla legge lombarda. Perché?

Perché limitava la possibilità di individuare aree per la realizzazione di luoghi di culto, prevedendo un piano dedicato esclusivamente alle cosiddette «attrezzature religiose » condizionato da un piano più generale, in maniera diversa rispetto ad altre opere di urbanizzazione. Questa non ragionevole differenziazione si traduceva in un ostacolo.

Del resto, al di là del primo importante pronunciamento del 1958, la Consulta si era già espressa chiaramente in materia, proprio sulla stessa legge della Lombardia.

Certo. Nel 2016 era previsto un divieto assoluto per luoghi di culto di religioni diverse da quella cattolica. Stavolta il limite era esteso a tutti i luoghi religiosi e, probabilmente, tale scelta è stata vista come elusiva della sentenza precedente. In via generale, la giurisprudenza della Corte ha stabilito che laddove ci siano contributi per le opere di urbanizzazione secondaria, e quindi anche per quelle finalizzate a esigenze di culto, devono essere dati non solamente alle confessioni che hanno siglato intese con lo Stato, ma anche alle altre. Purché sempre in rispondenza a un’esigenza collettiva. Deve esserci, insomma, una comunità religiosa che ha questo bisogno, il quale deve essere soddisfatto.

Quindi non è una sentenza che apre alla proliferazione disordinata di luoghi di preghiera, che siano moschee o altro?

Naturalmente no. Anzi, proprio sapere dove sorgono questi luoghi, noti e vincolati a tale uso, consente una migliore conoscibilità e, al limite, un controllo rispetto a eventuali deviazioni.

La realizzazione regolare di un luogo di culto richiede comunque un’interlocuzione con le istituzioni competenti?

Indubbiamente, occorre una serie di autorizzazioni: edilizie, di idoneità dei locali, misure di sicurezza e così via. Non è pensabile parlare di una deregolamentazione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: