mercoledì 23 gennaio 2013
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Una settimana fa, parlando di candidature alle prossime elezioni, aveva auspicato da queste colonne che le vicende giudiziarie non interferissero con quelle politiche e viceversa. Ora, a liste compilate e a psicodrammi consumati (Cosentino, certo, ma non solo), chiediamo di nuovo il parere del presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli. Dopo i fuochi, restano "scremature" poco convinte che sanno di tattica, ma anche pm affetti da sospetto «strabismo» elettorale. E troppe toghe famose candidate.Ci sono state esclusioni di peso, oltre i paletti posti dalla legge sull’incandidabilità. Anche se Berlusconi ha addebitato quelle del suo partito ai "soliti" pm...Che le forze politiche vadano al di là del vincolo imposto dalla legge dovrebbe essere più che naturale. Non dovrebbe essere una costrizione scegliere persone indiscutibili sotto il profilo dell’onorabilità, come la Costituzione stabilisce. E come l’opinione pubblica richiede.Non sempre è andata così.È vero. Né con l’attuale legge elettorale, né quando c’erano le preferenze. Allora poteva capitare che l’elezione fosse determinata da vincoli di appartenenza territoriale o di scambio. Per questo credo che il prossimo Parlamento dovrebbe, a inizio di legislatura, riformare il sistema elettorale.E quale sistema potrebbe essere abbastanza selettivo, dal punto di vista dell’onorabilità dei candidati?Forse un meccanismo basato su collegi molto ristretti, che garantisca una scelta diretta e la conoscenza effettiva della persona alla quale si dà il voto.Questa volta, più che mai, l’attualità elettorale si intreccia con quella giudiziaria. La sentenza del "processo Ruby" a Berlusconi arriverà dopo le elezioni, ma la requisitoria del pm Boccassini potrebbe tenersi l’11 febbraio.Il nostro sistema giudiziario ha tempi molto lunghi e la scansione dei relativi atti si collega a volte con determinati momenti politici e può essere, già è successo in passato, strumentalizzata. Tuttavia, oggi questo rapporto sembra parossistico. Occorrerebbe più chiarezza: alcuni magistrati dovrebbero evitare azioni giudiziarie "strabiche", tendenti, magari in modo non palese né pienamente avvertito, a incidere sul versante politico; alcuni politici dovrebbero, parimenti, non strumentalizzare il lavoro della magistratura. Venendo al processo che lei citava, mi sorprende la richiesta di moratoria della difesa di Berlusconi (anche se la campagna elettorale è un elemento da tener presente per singoli e specifici impedimenti) perché può dare l’impressione di una tattica dilatoria. Però il processo non può essere cadenzato in maniera da essere percepito come uno strumento per incidere sull’opinione pubblica con effetto politico.È questo il caso, secondo lei?Be’, quando il pubblico ministero chiede di fare il suo intervento prima delle votazioni, c’è da chiedersene il motivo. Potrebbe far percepire una voglia di "lotta", che è e deve restare estranea alle finalità della giustizia. Serve più distacco.Il passaggio di così tanti magistrati alla politica non aiuta a tenere distinti i due ambiti.Il fenomeno è sempre esistito, ma diventa negativo nel momento in cui l’arruolamento dei magistrati nei partiti avviene sulla base della notorietà: questo dà un’idea che la giurisdizione possa essere orientata a una notorietà produttiva di tali effetti. È una questione principalmente di sensibilità e di costume politico: non dovrebbe servire una legge per impedire, per esempio, che qualcuno diventi sindaco della città dove fino a poco prima esercitava la giurisdizione. Però, visto che ciò accade, ben venga una legge che non escluda, ma condizioni fortemente l’ingresso dei magistrati in politica.La convince la proposta di rendere "trasparenti" i profili dei singoli eletti: atti, voti, presenze, stato patrimoniale, eventuali pendenze giudiziarie?Sarebbe una buona pratica. Anche qui, non necessariamente si dovrebbe ricorrere a una legge: potrebbero bastare i regolamenti delle Camere, gli Statuti dei Comuni o delle Regioni.
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